Per la Cassazione anche la ricerca assillante di familiari e amici della vittima può rilevare nella configurazione del reato ex art. 612-bis c.p.

di Lucia Izzo - Non solo le minacce, ma anche le molestie rilevano quanto alla configurazione del reato di stalking: in un simile contesto, pertanto, può rilevare anche il comportamento del persecutore che contatti in maniera assillante i parenti e gli amici dell'ex partner per metterlo in cattiva luce e cercare solidarietà contro la stessa vittima.

La vicenda

Lo ha precisato la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 39802/2017 (qui sotto allegata), provvedimento con cui Palazzo Cavour ha annullato la sentenza di non luogo a procedere nei confronti di una donna.


L'imputata era accusata di aver molestato e minacciato l'uomo con cui aveva aveva avuto una relazione sentimentale, di averlo importunato sul lavoro, di averlo insultato pubblicamente e di aver contattato telefonicamente la madre della persona offesa e altre persone di comune conoscenza, così ingenerandogli un fondato timore per la propria incolumità e costringendolo ad alterare le proprie abitudini di vita.


A giudizio del G.U.P., tuttavia, gli elementi di prova offerti dall'accusa (dichiarazione della vittima e di vari testimoni, altra documentazione prodotta), non fornirebbero prova del contestato reato, né sarebbero suscettibili di sviluppo in dibattimento.

Stalking anche per gli insistenti contatti coi familiari della vittima

Per gli Ermellini, il provvedimento impugnato appare viziato sotto diversi profili.

In primis, quanto alla valutazione degli elementi probatori acquisiti, si ritiene la illegittima valutazione delle dichiarazioni della persona offesa che, per giurisprudenza consolidata possono anche da sole costituire base del convincimento giudiziale allorché siano sottoposte ad attento vaglio critico.


Nel caso di specie il G.I.P. ha più sminuito il valore delle dichiarazioni rese dalla vittima, piuttosto che impegnarsi in una penetrante e serena valutazione delle sue dichiarazioni.


Quanto alle modalità di commissione del reato, precisa la Cassazione, la sentenza impugnata non tiene conto del fatto che anche le molestie, e non solo le minacce, conducono verso la fattispecie dell'art. 612-bis c.p.; pertanto, anche la ricerca assillante della vittima, effettuata contro l'espressa volontà di quest'ultima, e l'ingiuriarlo pubblicamente, assumono rilievo penale.


In un simile contesto, dunque, assume rilevanza anche il voler insistentemente contattare i familiari, gli amici o i conoscenti della vittima allo scopo di metterla in cattiva luce e di sollecitare solidarietà contro di essa.


La sentenza, secondo il Collegio, contrasta anche con l'orientamento consolidato secondo cui l'evento di reato non è dato dalla "malattia" e non deve essere necessariamente provato attraverso documenti (certificazione medica), potendo desumersi dalla rilevata idoneità degli atti persecutori a determinare le conseguenze previste dalla norma, in una con l'obbiettiva valutazione degli elementi offerti dall'indagine, comprese le dichiarazioni della vittima.


Pertanto, siccome la sentenza impugnata si rileva gravemente lacunosa, sia in ordine alla valutazione degli elementi probatori acquisiti all'indagine, sia in ordine alla verifica della possibilità che il quadro esistente si chiarisca in dibattimento, gli atti andranno rimessi al giudice a quo per una rinnovata valutazione.

Cass., V sez. pen., sent. n. 39802/2017

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