di Valeria Zeppilli - I giudici nazionali degli Stati UE non devono riconoscere atti di tribunali islamici che pongono la donna in uno stato di inferiorità, nemmeno se questa vi ha acconsentito.
In attesa della sentenza della Corte di Giustizia sul punto, queste sono le conclusioni (qui sotto allegate) dell'avvocato generale Saugmandsgaard Øe in merito alla vicenda di cui alla causa C-372/2016.
La vicenda
La questione riguardava una coppia di siriani, cittadini tedeschi, che si erano uniti in matrimonio dinanzi al tribunale islamico di Homs, in Siria.
Il marito, dopo qualche anno di legame coniugale, aveva ottenuto il divorzio dalla donna dal tribunale religioso della sharia e la moglie, nel rispetto delle regole della sharia, aveva firmato un dichiarazione con la quale aveva accettato una somma di denaro per liberare l'uomo da qualsivoglia obbligo nei suoi confronti.
Il marito si era quindi rivolto al giudice tedesco per chiedere il riconoscimento della pronuncia di divorzio, che in un primo tempo gli era stato concesso. Di fronte all'opposizione della moglie, però, il tribunale regionale superiore di Monaco di Baviera aveva ritenuto più opportuno rivolgersi alla Corte di giustizia per sollecitare un'interpretazione del regolamento europeo numero 1259 del 2010 alla luce della vicenda sottoposta alla sua attenzione.
La posizione netta dell'avvocato generale
Per ora sono state pubblicate le conclusioni dell'avvocato generale che, sul punto, ha assunto una posizione netta affermando che in questo caso ci si trova di fronte a un chiaro esempio di discriminazione fondato esclusivamente sul genere che non dà ai coniugi pari condizioni di accesso al divorzio e che, pertanto, è di "una gravità tale da dover comportare il rigetto assoluto, senza alcuna possibilità di eccezione nel singolo caso concreto, della totalità della legge altrimenti applicabile".
Oltretutto il regolamento europeo del 2010, cd. regolamento Roma III, non estende la sua efficacia a divorzi "privati" che sono decretati in sistemi giuridici di ispirazione mussulmana e ammettono che il matrimonio possa sciogliersi per volontà dello sposo. In essi manca, infatti, l'intervento sia di un'autorità giurisdizionale nazionale che di un'autorità pubblica.
Per l'avvocato generale quindi non ci sono dubbi: il divorzio islamico non va riconosciuto. L'ultima parola, però, spetta alla Corte di giustizia.
Conclusioni avvocato generale Saugmandsgaard Øe - causa C-372/2016• Foto: 123rf.com