Il prezzo del mutuo, gli interessi moratori e l'anatocismo nella contrattazione anteriore alla legge 108 del 1996

Avv. Giampaolo Morini - Dall'entrata in vigore della L. 108/96, il tasso applicato dalla controparte ha sempre superato abbondantemente i tassi soglia legalmente previsti e stabiliti ogni trimestre dal Ministero competente. La sopra richiamata L. 108/1996, impone all'Istituto di credito di non ricevere né chiedere interessi in misura superiore a quelli legali "soglia" stabiliti dal Ministero del Tesoro, perché, detta richiesta o percezione configura in se stessa una condotta antigiuridica, indipendentemente dall'originario accordo. Tale condizione non è venuta meno con il DL 29.12.2000 n. 394, che pur spostando il momento rilevante ai fini della qualificazione giuridica o meno dell'interesse ultralegale pattuito, dalla dazione alla stipula del contratto

, mantiene in vita la L. 108/96 nella sua funzione imperativa volta a stabilire il limite del tasso legale oltre il quale gli interessi continuano a non essere dovuti. Si deve ritenere, peraltro, pacifica l'incisività e costituzionalità delle fonti eteronome nella determinazione del regolamento contrattuale. Infatti sono oramai molti i casi in cui norme imperative sostituiscono clausole contrattuali difformi, producendo immediatamente i loro effetti anche se intervenute successivamente alla formazione della volontà contrattuale. In questa situazione si verifica quindi un concorso tra autoregolamentazione pattizia ed autoregolamentazione normativa prevista dall'art. 1339 c.c.. Si verifica così una convivenza tra il contenuto contrattuale, frutto dell'autodeterminazione delle parti ed il contenuto imposto dalla legge che va a correggere e sostituire, in parte, il pacchetto autoregolamentato. In giurisprudenza è oramai pacificamente accolta una visione della autoregolamentazione che può essere rappresentata non solo dalle norme di legge ma anche da un decreto ministeriale o da un altro atto amministrativo, purché espressione prevista dalla legge come tale idonea a sostituire la regola privata.
Per cui, in riferimento ai tassi di interesse, il legislatore del 1996 ha volutamente introdotto una disposizione elastica capace di abbracciare ogni fluttuazione di tassi e perciò il richiamo agli artt. 1339 e 1419 c. 2 c.c., non concerne un unico dato, bensì una pluralità di dati variabili per effetto del decorso del tempo; pertanto il principio dello ius superveniens in materia di tassi soglia finisce con il diventare una ineludibile compresenza automatica di ogni variazione trimestrale dei tassi. La clausola pattizia di determinazione dell'interesse ultralegale, originariamente previsto tra le parti è divenuta nulla con l'entrata in vigore della L. 108/96, e pertanto dall'entrata in vigore di detta legge in poi, ai sensi degli artt. 1339 e 1419 c.2 c.c. si ha sostituzione di pieno diritto della pattuizione degli interessi stessi di conseguenza non dovuti, mediante una norma di carattere imperativo, sottratta alla discrezionalità
del Giudice, norme che la legge non vorrebbe né eluse ne aggirate. Se è vero che tale intervento legislativo ha di fatto reso inapplicabile l'art. 644 c.p. e l'art. 1815 c.c. a gran parte dei mutui in essere, è altrettanto pacifico che i tassi soglia di volta in volta individuati dal competente ministero, continuano a rappresentano il limite massimo oltre il quale l'interesse non è dovuto. In altre parole l'intera problematica del divieto assoluto sanzionato (penalmente e) civilmente, deve essere ascritto ad una sopravvenuta inesigibilità della prestazione. La stessa Corte di Cassazione parla di nullità parziale sopravvenuta (Sent. C. Cass. 5286/2000) (la tesi appena esposta ha trovato inoltre autorevole avallo della Corte Costituzionale nella sent. 204 del 1997 - doc. 11)). Si può tranquillamente affermare che con la L. 108/96 si è resa realmente possibile la contrattazione del prezzo del mutuo, vale a dire sulla misura degli interessi, infatti con l'entrata in vigore della suddetta legge la stessa contrattazione del tasso di interesse subisce una drastica limitazione per l'Istituto bancario, in quanto la misura del tasso soglia costituisce un limite imperativo la cui violazione include addirittura il carattere oneroso dello stesso contratto di mutuo

Gli interessi moratori

Quanto sopra ritenuto è altresì applicabile agli interessi moratori. Occorre osservare l'irrilevanza sul piano sistematico, che gli interessi debbano essere ricondotti ad una categoria risarcitoria, piuttosto che al corrispettivo, in quanto la misura degli interessi moratori pur sempre si discosta da quelle per legge determinata in conformità agli interessi legali, ed è piuttosto una misura contrattualmente determinata al pari di qualsiasi altra convenzione relativa alla pattuizione degli interessi. La convenzione sugli interessi moratori, pertanto deve essere riguardata come un qualsiasi patto che violi la disciplina di cui alla L. 108/96, in specie allorquando contenga la promessa sotto qualsiasi forma, di una prestazione di interessi superiore al tasso soglia. La circostanza che una promessa o patto di tale tipo sia sul piano funzionale, diretto a risarcire un danno da ritardo nell'adempimento, piuttosto che a bilanciare un corrispettivo di un rapporto sinallagmatico, non è rilevante ai fini della elusione della illiceità o meno della convenzione. La disciplina prevista dalla L. 108/96 è infatti dettata in via generale omnicomprensiva per ogni potere di pattuizione di interessi superiori al noto tasso soglia, né le circostanze del ritardo e del conseguente debito risarcitorio può essere visto quale valido esimente, in quanto particolarmente il ritardo nell'adempimento del debito pecuniario costituisce componente costante delle vicende che la lega ai fenomeni usurari. Inoltre il bene tutelato dal legislatore del 1996 consiste nella attribuzione di vantaggi che non superano una determinata soglia considerata incompatibile con l'ordinamento economico sociale, indipendentemente dal fatto che essi siano destinati ad un corrispettivo o ad un risarcimento.

L'anatocismo generato dagli interessi moratori

Nell' ipotesi di mutuo con un piano di restituzione differito nel tempo, attraverso il pagamento di rate costanti comprensive di parte del capitale e degli interessi, questi ultimi conservano la loro natura e non si trasformano invece in capitale da restituire al mutuante, pertanto la convenzione, contestuale alla stipulazione del mutuo, che stabilisca l'applicazione degli interessi sulla intera somma integra un fenomeno anatocistico, vietato dall'art. 1283 c.c. Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione a partire dalla sent. n. 3479 del 1971 (fino ad arrivare alla sentenza 2593/02), la quale osservò che "il semplice fatto che nelle rate di mutuo vengono compresi sia una quota del capitale da estinguere sia gli interessi a scalare non opera un conglobamento né vale tanto meno a mutare la natura giuridica di questi ultimi, che conservano la loro autonomia anche dal punto di vista contabile". Lo stesso principio è stato affermato da Cass. 6 maggio 1977, n. 1724. le obbligazioni a carico del mutuatario sono 2: la prima è quella di restituire la somma ricevuta in prestito (art. 1813 c.c.); la seconda è quella di corrispondere gli interessi al mutuante, salvo diversa pattuizione (art. 1815 c.c.). Sono due obbligazioni distinte ontologicamente e rispondenti a finalità diverse. Nei mutui ad ammortamento, la formazione delle rate, con contenuto predeterminata di capitale ed interessi, attiene ad una modalità dell'adempimento delle due obbligazioni; nella rata concorrono, infatti, la graduale restituzione della somma ricevuta in prestito e la corresponsione degli interessi; trattandosi di una pattuizione che ha il solo scopo di scaglionare nel temo le due distinte obbligazioni del mutuatario, essa non è idonea a mutarne la natura né ad eliminarne l'autonomia. Come ritenuto dalla Suprema Corte nella sent. n. 6631 del 1981 gli usi richiamati dall'art. 1283 c.c. sono soltanto i cosiddetti "usi normativi": questo punto non è discutibile ove si consideri che a detti usi è consentito derogare alla disciplina dettata dalla citata norma. Con riferimento alla disciplina dell'art. 1283 c.c., gli usi contrari cui la norma si riferisce sono quelli che esistevano anteriormente all'entrata in vigore del codice civile in quanto che usi contrari non avrebbero potuto successivamente formarsi perché la natura della norma stessa, di carattere imperativo e quindi impeditiva del riconoscimento di pattuizioni e di comportamenti non conformi alla disciplina positiva esistente, impediva la realizzazione delle condizioni di fatto idonee a produrre la nascita di un uso avente le caratteristiche dell'uso normativo. Né può essere contestata la natura imperativa della norma per il fatto che essa stessa ammette di essere derogata da usi contrari, una volta dimostrato che tale deroga è possibile solo ad opera di usi contrari preesistenti. A questo punto occorre, allora, verificare se anteriormente al 1942 esistevano o meno usi che nel campo specifico del mutuo bancario ordinario consentissero l'anatocismo oltre i limiti previsti dall'art. 1283 c.c. e, particolarmente, una pattuizione analoga a quella intercorsa tra le parti del presente giudizio. La risposta è negativa. Soltanto a partire dal 1976 nella raccolta degli usi della provincia di Milano (e, a volte con qualche insignificante variazione, in numerose altre raccolte provinciali, ma non in tutte) viene certificata l'esistenza di un uso concernente gli interessi di mora su rate scadute di mutui e finanziamenti. In particolare l'art. 12 della raccolta di Milano indica che "nel caso di mancato pagamento entro il quinto giorno successivo alla scadenza, anche se festivo, di rate di rimborso di mutui e finanziamenti estinguibili secondo piani di ammortamento, le banche percepiscono gli interessi di mora sull'intero importo delle rate scadute e non pagate". Analoga disposizione si trova poi al paragrafo 16 degli usi bancari accertati su base nazionale: "nel caso di mancato pagamento, nei termini previsti, di quanto dovuto dal debitore per capitale, interessi ed accessori, le banche percepiscono, su tutte le somme rimaste insolute, gli interessi di mora a decorrere dal giorno di scadenza fino al giorno della valuta del pagamento effettuato". Il fatto che l'esistenza dell'uso sia stata certificata solo trentaquattro anni dopo l'entrata in vigore del codice dimostra con sufficiente certezza che almeno precedentemente al 1942 un uso siffatto non esisteva. Inoltre, per le ragioni precedentemente esposte, la certificazione dell'uso non può attribuire allo stesso il valore di uso normativo, ma può al più costituire prova di una prassi, volontaria o imposta, contraria alla legge. È appena il caso di aggiungere che sulla vicenda in esame non incide il D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342; infatti, l'art. 25, comma terzo, del detto decreto legislativo, il quale aveva stabilito la validità ed efficacia delle clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera del Cicr di cui al comma secondo del medesimo articolo, è stata dichiarata costituzionalmente illegittimo con sentenza della Corte Costituzionale n. 425 del 17 ottobre 2000.

Avv. Giampaolo Morini

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