L'uso del marchio è possibile in relazione ai prodotti e servizi registrati e nella forma in cui gli stessi sono registrati, con la possibilità di modifiche minime

Trasferimento del marchio

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Chiaramente si può disporre solamente dei diritti di cui si è titolari, tuttavia l'uso del marchio può divenire legittimo nei casi stabiliti dalla legge. L'art. 2573 c.c., che disciplina il trasferimento del marchio, va integrato con l'art. 15 l. marchi, entrambi modificati dal d.lgs. 4.12.1992, n. 480.

Il d.lgs. 4.12.1992, n. 480 ha eliminato i vincoli al trasferimento del marchio previsti dalla previgente disciplina e riguardanti l'obbligo che la cessione fosse accompagnata dal trasferimento dell'azienda o di un suo ramo e che la cessione fosse avvenuta solo a titolo esclusivo.

Trasferimento e licenza del marchio non identificano tipi contrattuali, ma schemi attributivi che si differenziano solo perché il secondo implica il mantenimento in capo al disponente (licenziante) della titolarità del diritto concesso in godimento temporaneo (esclusivo o non) ad altri (licenziatario). L'art. 15 l. marchi in tema di trasferimento si applica a tutte le vicende contrattuali e non che possono determinare il definitivo passaggio della titolarità del diritto di marchio da un soggetto all'altro. La disciplina delle licenze si applica ai contratti con cui il titolare costituisce un diritto di godimento temporaneo in favore di terzi, qualunque ne sia la causa di scambio[1].

Con la riforma della legge marchi il marchio può essere trasferito per la totalità o per una parte dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato, con la conseguenza che potranno coesistere marchi identici per prodotti diversi. L'unico limite è costituito dal fatto che dal trasferimento o dalla concessione in licenza del marchio non deve derivare inganno per i consumatori[2].

L'attuale normativa, secondo un recente orientamento dottrinale, consente al titolare del marchio di sfruttare tutte le sue potenzialità, cedendolo anche per settori in cui egli, non avendo svolto alcuna attività imprenditoriale, non ha nulla da trasmettere al cessionario, neppure sul piano delle mere conoscenze[3].

La presunzione di trasferimento del marchio

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Secondo la giurisprudenza formatasi nel sistema normativo previgente, la presunzione di trasferimento del marchio unitamente all'azienda prevista dall'art. 2573, 2° co., non opera quando l'azienda sia cessata, non essendo quindi configurabile alcun trasferimento d'azienda (C. 4036/95); si ha invece valido trasferimento del marchio, anche in assenza di una contestuale cessione dell'azienda o suo ramo, allorché il cedente non abbia mai fatto uso di quel marchio per il fatto di non aver mai fabbricato o messo in commercio i prodotti da esso contrassegnati (C. 9404/87).

La nullità del trasferimento del marchio

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Dalla nullità del marchio ex art. 22 l. marchi discende la nullità del contratto con cui lo stesso viene trasferito, per l'originaria mancanza dell'oggetto (T. Milano 28.9.95) e l'onere di provare la nullità della cessione del marchio incombe al terzo che l'afferma (C. 2578/95).

La forma della cessione

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Per quanto riguarda la forma della cessione si ritiene che il trasferimento del marchio non richieda forme speciali e sia opponibile dal cessionario a terzi pretesi contraffattori anche in assenza di trascrizione (T. Perugia 24.7.95).

Non viola l'art. 2573 e 15 l. marchi la cessione, oltrechè dell'uso esclusivo del marchio, del diritto di fabbricare e vendere in esclusiva il corrispondente prodotto, nonché dei particolari elementi eventualmente indispensabili per la realizzazione del prodotto medesimo(C. 1424/00).

La validità del trasferimento del diritto di marchio non è soggetta all'osservanza di requisiti di forma. Tale principio, non contestato prima della riforma, non è stato scalfito dall'introduzione della regola della cessione libera. La forma ad substantiam è richiesta solo quando è imposta dal particolare modo con cui si realizza il trasferimento (ad es., la cessione del marchio tramite donazione richiede l'atto pubblico ex art. 782) (Marasà, 123).

Tuttavia la forma costituisce un presupposto per soddisfare la pubblicità del trasferimento, giusto quanto prevede l'art. 50, 2° co., l. marchi, il quale subordina la trascrizione del marchio all'allegazione di copia autentica dell'atto pubblico o di copia autentica della scrittura privata autenticata (Cavani, 3 ss.).

La trascrizione presso l'ufficio italiano brevetti e marchi

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Secondo l'art. 49 l. marchi debbono essere trascritti presso l'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi gli atti che costituiscono, modificano o trasferiscono diritti personali o reali di godimento o di garanzia sui marchi registrati, le relative domande giudiziali e le sentenze[4].

Anche i contratti di licenza sono assoggettati a trascrizione, come già riteneva la giurisprudenza formatasi prima dell'entrata in vigore del d.lg. 4.12.1992, n. 480[5].

La trascrizione, come stabilisce l'art. 51 l. marchi, ha efficacia meramente dichiarativa, in quanto non condiziona la validità degli atti da trascrivere, bensì si limita a rendere opponibili a terzi aventi diritto sul marchio gli atti da trascrivere, nonché a costituire un criterio di preferenza fra due aventi causa dal medesimo dante causa[6].

In difetto di trascrizione della domanda giudiziale, l'eventuale dichiarazione di nullità o inefficacia di un accordo avente ad oggetto la disposizione del diritto sul marchio non pregiudica i diritti acquistati da terzi in base ad un atto trascritto anteriormente (T. Torino 29.3.96).

La trascrizione degli atti che trasferiscono i diritti sui marchi ha solo la funzione di dirimere il conflitto fra più parti che vantano diritti sulla medesima privativa, cosicché la cessione del marchio, anche se non trascritta, è pienamente rilevante rispetto ai terzi (T. Roma 4.10.94).

L'opponibilità del trasferimento del marchio al fallimento della società cedente è subordinata alla trascrizione dell'atto di cessione in data anteriore alla dichiarazione di fallimento (T. Torino 27.2.92).

Marchio: la licenza all'uso

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L'art. 15, 2° co., l. marchi, prevede la possibilità che il marchio possa costituire oggetto di licenze esclusive e non esclusive, per la totalità o per parte dei prodotti e servizi per i quali il marchio è registrato e per la totalità o per parte del territorio dello Stato o della Comunità[7].

La licenza non esclusiva si ha soltanto quando sia concessa ad una pluralità di soggetti una licenza di marchio in relazione agli stessi prodotti ovvero quando il concedente dia licenza del marchio ad un terzo per determinati prodotti e conservi per sé il diritto di adoperarlo per gli stessi prodotti Nel caso di licenza non esclusiva sussiste l'obbligo a carico del licenziatario di uniformare la propria a quella degli altri licenziatari[8].

Secondo un indirizzo dottrinale in caso di violazione del contratto di licenza, il titolare del marchio potrà agire non solo in base alle regole che disciplinano il rapporto obbligatorio, ma anche per contraffazione del marchio[9].

Dal trasferimento e dalla licenza di marchio, come prescrivono l'art. 2573 e l'art. 15, 4° co., l. marchi, non deve derivare inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell'apprezzamento del pubblico[10].

Chi eccepisce di avere utilizzato il marchio con il consenso del titolare nel quadro di un complesso rapporto di collaborazione commerciale in guisa tale da rendere configurabile una vera e propria licenza del marchio e ciò per paralizzare l'azione di contraffazione, deve fornire la prova del suo assunto (T. Torino 30.10.96).

Il fatto che un marchio sia intestato al legale rappresentante di una società, ma goduto da quest'ultima, costituisce un indizio sufficiente a ritenere che tra titolare e società esista quantomeno una licenza implicita a favore della seconda (T. Milano 24.1.94).

Il trasferimento del marchio in licenza commerciale comporta, nel territorio nazionale, il trasferimento di tutti i poteri inerenti ad un diritto assoluto, opponibile erga omnes, per cui si deve escludere che altri - compreso lo stesso cedente - possa servirsi, nel territorio riservato al cessionario, dello stesso marchio per distinguere prodotti nella stessa categoria (P. Milano 8.8.91).

Avv. Giampaolo Morini

Corso Garibaldi n° 7

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giampaolo@studiolegalemorinigiampaolo.it

0584361554



[1] Marasà, Commento tematico alla legge marchi , Torino, 1998, 96

[2] Di Cataldo, I segni distintivi , Milano, 1993, 131 ss.

[3] Cavani, Commento generale alla riforma , in La riforma della legge marchi , Padova, 1995, 3 ss..

[4] Sena, Il nuovo diritto dei marchi , Milano, 1998, 157

[5] Galli, Commento al d.lgs. 4 dicembre 1992, n. 480 , NGCC , 1995, 1210

[6] Vanzetti, Di Cataldo, Manuale di diritto industriale , Milano, 1996, 224

[7] Sena, 162

[8] Vanzetti, Di Cataldo, 220

[9] Sena, 164

[10] Marasà, 112


Foto: 123rf.com
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