Avv. Nicoló Maria Vallini Vaccari - Dispone l'art. 1669 c.c. che: "Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta. Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia".
Tale norma, che unitamente all'art. 1667 c.c. disciplina le ipotesi di responsabilità dell'appaltatore, ha creato nella giurisprudenza di merito e di legittimità vari dubbi interpretativi, di volta in volta risolti dall'intervento delle Sezioni Unite (si veda ad esempio il dibattito sulla natura della responsabilità dell'appaltatore, da ultimo ricondotta nell'alveo dell'art. 2043 c.c. dalla sentenza SSUU n. 2284 del 03.02.2014).
Recentemente, in particolare, il contrasto ha visto da un lato chi limitava l'applicabilità della disposizione in esame alla sola ipotesi della costruzione ex novo degli edifici e, dall'altro, chi invece ne estendeva l'operatività anche all'ipotesi della ristrutturazione degli immobili.
Secondo un primo orientamento, infatti, l'operatività dell'art. 1669 c.c. dovrebbe essere circoscritta alla sola ipotesi di costruzione ex novo.
In tal senso ha disposto la sentenza n. 24143/07, la quale, con riferimento ad un caso di opere d'impermeabilizzazione e pavimentazione del terrazzo condominiale d'un edificio preesistente, ha osservato che l'art. 1669 c.c. delimita con una certa evidenza il suo ambito di applicazione alle opere aventi ad oggetto la sola costruzione di edifici o di altri beni immobili di lunga durata.
Non sarebbero incluse, perciò, le modificazioni o le riparazioni apportate ad un edificio o ad altre preesistenti cose immobili, da identificare a norma dell'art. 812 c.c..
A tale conclusione, la Cassazione è in un primo momento pervenuta attraverso l'interpretazione letterale della norma, laddove questa "...raccorda il termine 'opera' a quello di 'edifici o di altre cose immobili, destinate per loro natura a lunga durata', per poi connettere e disciplinare le conseguenze dei vizi costruttivi della medesima opera, così significando che la costruzione di un edificio o di altra cosa immobile, destinata per sua natura a lunga durata, costituisce presupposto e limite di applicazione della responsabilità prevista in capo all'appaltatore".
In senso puramente adesivo ha statuito, poi, la sentenza n. 10658/15 (massimata in maniera del tutto conforme), avente ad oggetto lavori di consolidamento di una villetta preesistente che avevano provocato gravi fessurazioni su di un corpo di fabbrica aggiuntovi.
Di segno opposto è stata, invece, la più recente sentenza n. 22553/15, secondo cui risponde ai sensi dell'art. 1669 c.c. anche l'autore di opere realizzate su di un edificio preesistente, allorché queste incidano sugli elementi essenziali dell'immobile o su elementi secondari rilevanti per la funzionalità globale.
Secondo tale orientamento, invero, "...l'opera cui allude la norma, quindi, non si identificherebbe necessariamente con l'edificio o con la cosa immobile destinata a lunga durata, ma ben potrebbe estendersi a qualsiasi intervento, modificativo o riparativo, eseguito successivamente all'originaria costruzione dell'edificio, con la conseguenza che anche il termine di compimento, ai fini della delimitazione temporale decennale della responsabilità, ha ad oggetto non già l'edificio in sé considerato, bensì l'opera, eventualmente realizzata successivamente alla costruzione dell'edificio".
Trattandosi di interpretazioni diametralmente opposte, con ordinanza n. 12041 del 10.06.2016 la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha rimesso al Primo Presidente la questione, chiedendo l'intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, in seguito pronunciatesi con la recente sentenza n. 7756 del 27.03.2017 (qui sotto allegata).
Le Sezioni Unite, dapprima, esemplificano alcune delle ipotesi rientranti nell'alveo dei gravi difetti di cui all'art. 1669 c.c., richiamando ad esempio "...la pavimentazione interna ed esterna di una rampa di scala e di un muro di recinzione (sentenza n. 2238/12); opere di pavimentazione e di impiantistica (n. 1608/00); infiltrazioni d'acqua, umidità nelle murature e in generale problemi rilevanti d'impermeabilizzazione (nn. 84/13, 21351/05, 117/00, 4692/99, 2260/98, 2775/97, 3301/96, 10218/94, 13112/92, 9081/92, 9082/91, 2431/86, 1427/84, 6741/83, 2858/83, 3971/81, 3482/81, 6298/80, 4356/80, 206/79, 2321/77, 1606/76 e 1622/72); un ascensore panoramico esterno ad un edificio (n. 20307/11); l'inefficienza di un impianto idrico (n. 3752/07); l'inadeguatezza recettiva d'una fossa biologica (n. 13106/95); l'impianto centralizzato di riscaldamento (nn. 5002/94, 7924/92, 5252/86 e 2763/84); il crollo o il disfacimento degli intonaci esterni dell'edificio (nn. 6585/86, 4369/82 e 3002/81, 1426/76); il collegamento diretto degli scarichi di acque bianche e dei pluviali discendenti con la condotta fognaria (n. 5147/87); infiltrazioni di acque luride (n. 2070/78)".
Ciò premesso, la sentenza - una volta ricomposta la storia e l'esegesi della norma, derivante addirittura dal codice napoleonico - sostiene che riferire l'opera alla "costruzione" e questa a un nuovo fabbricato, inteso quale presupposto e limite della responsabilità aggravata dell'appaltatore (come ritiene Cass. n. 24143/07), non sembra possibile proprio dal punto di vista letterale.
A tal riguardo, la pronuncia chiarisce che "...nel testo della norma il sostantivo 'costruzione' rappresenta un nomen actionis, nel senso che sta per 'attività costruttiva'; e non potrebbe essere altrimenti, visto che se esso valesse (come mostra d'intendere la sentenza appena citata) quale specificazione riduttiva del soggetto (l'opera) della (terza, nel testo vigente) proposizione subordinata, si avrebbe una duplicazione di concetti ad un tempo inutile e fuorviante. Inoltre, il supposto impiego sinonimico di 'costruzione' quale nuovo edificio, porterebbe a intendere la norma come se affermasse che l'opera può rovinare per difetto suo proprio".
Secondo le Sezioni Unite, insomma: "nell'economia del ragionamento giuridico sotteso ai casi sopra menzionati, che fa leva sulla compromissione del godimento dell'immobile secondo la sua propria destinazione, è del tutto indifferente che i gravi difetti riguardino una costruzione interamente nuova. La circostanza che le singole fattispecie siano derivate o non dall'edificazione primigenia di un fabbricato non muta i termini logico-giuridici dell'operazione ermeneutica compiuta in ormai quasi mezzo secolo di giurisprudenza, perchè non preordinata al (nè dipendente dal) rispetto dell'una o dell'altra opzione esegetica in esame. Spostando l'attenzione sulle componenti non strutturali del risultato costruttivo e sull'incidenza che queste possono avere sul complessivo godimento del bene, la giurisprudenza ha mostrato di porsi dall'angolo visuale degli elementi secondari ed accessori. Questo non implica di necessità propria che si tratti della prima realizzazione dell'immobile, essendo ben possibile che l'opus oggetto dell'appalto consista e si esaurisca in questi stessi e soli elementi. Ferma tale angolazione, a fortiori deve ritenersi che ove l'opera appaltata consista in un intervento di più ampio respiro edilizio (come, appunto, una ristrutturazione), quantunque non in una nuova costruzione, l'art. 1669 c.c., sia ugualmente applicabile".
Analizzati e confutati i residuali elementi a supporto dell'orientamento più restrittivo, le Sezioni Unite, privilegiando l'interpretazione estensiva della norma, enunciano il seguente principio di diritto:
"l'art. 1669 c.c., è applicabile, ricorrendone tutte le altre condizioni, anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti, che (rovinino o) presentino (evidente pericolo di rovina o) gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest'ultimo".
Avv. Nicoló Maria Vallini Vaccari
Verona, Via Valpantena, 28
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Cassazione Sez. Un. n. 7756 del 27.03.2017