Salvo, precisa il Tribunale di Milano, questa scelta non risponda all'interesse del minore nel caso concreto

di Lucia Izzo - Se i genitori non trovano un accordo tra scuola pubblica o privata, l'ufficio giudiziario si pronuncia a favore dell'istruzione pubblica, salvo questa non risponda all'interesse del minore nel caso concreto. Lo ha stabilito il Tribunale di Milano, sez. IX civile, in un decreto del 2 febbraio 2017 (Pres. Cosmai, rel. Rosa Muscio, scaricabile sul sito Ilcaso.it). 

Nel giudizio riguardante la modifica delle condizioni della sentenza di divorzio è emerso un conflitto tra i genitori relativamente all'istruzione del figlio: il padre insisteva per l'iscrizione del figlio scuola pubblica, mostrandosi assolutamente contrario alla scuola privata di qualunque tipo, mentre la madre chiedeva di autorizzare l'iscrizione del minore presso un istituto privato. 

Il Tribunale meneghino, chiamato a risolvere la controversia, rammenta il principio già affermato in altre occasioni per cui, in materia di conflitti genitoriali, laddove non esista o non persista un'intesa tra i genitori a favore di qualsivoglia istituto scolastico privato, la decisione dell'Ufficio giudiziario, che va a sostituire quella della coppia genitoriale, non può che essere a favore dell'istruzione pubblica, secondo i canoni dall'ordinamento riconosciuti come idonei allo sviluppo culturale di qualsiasi soggetto minore residente sul territorio. 

Tale regola di principio, riconosce il giudice, può tuttavia subire eccezioni nelle ipotesi in cui, per le peculiarità del caso concreto, emergano evidenti controindicazioni all'interesse del minore e, quindi, la soluzione della scuola pubblica non sia quella più rispondente al suo interesse: a titolo esemplificativo, il Tribunale rammenta i casi di difficoltà di apprendimento, delle particolari fragilità di inserimento nel contesto dei coetanei o fragilità personali del minore, esigenze di coltivare studi in sintonia con la dotazione culturale o l'estrazione nazionale dei genitori, eccetera. 


Nel caso in esame, infatti, per il Collegio sussistono proprio quelle concrete ragioni per derogare alla regola generale al fine di tutelare il percorso di crescita e la relazione del ragazzo con entrambi i genitori. Prima che sorgesse il conflitto sulla scelta della scuola, i genitori avevano concordato e consentito che il figlio frequentasse uno dei più costosi ed elitari istituti del capoluogo lombardo dove il padre stesso diceva di aver studiato.

Questo, secondo i giudici, è un dato "indicativo di un più profondo dissidio sulle scelte educative e di crescita complessiva del minore che sino ad oggi ha vissuto in un contesto familiare, paterno e materno, certamente dotato di significative risorse economiche", tanto che ciascuno dei genitori tende ad addossare all'altro la responsabilità di aver trasmesso messaggi educativi improntati soltanto alla ricchezza e al denaro.

In realtà, per il Collegio, se il figlio è cresciuto come "viziato" tale conseguenza deriva dalle scelte educative complessive e di comportamenti di entrambi i genitori posti in essere nel tempo. Pertanto, il cambiamento della scuola non appare ai giudici come la soluzione adatta a insegnare al figlio che "il mondo è altro", in quanto quest'ultimo la vivrebbe come un'esperienza punitiva e priva di motivazione, non essendogli offerti adeguati strumenti di riflessione e aiuto per superare le criticità della relazione che ha con entrambi i genitori. 

Quindi, per tutelare il percorso di crescita del minore, il Tribunale ritiene che la soluzione migliore sia quella della prosecuzione del percorso scolastico nell'istituto privato. Dovranno, dunque, essere altri gli interventi necessari per evitare il radicalizzarsi della frattura della relazione del figlio con il padre e alla non emancipazione dalla figura materna. 


Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: