Non c'è un limite minimo se la controversia è tra quelle che può essere oggetto di class action.

di Lucia Izzo - Si possono proporre cause individuali anche per controversie di infimo valore se la lite è tra quelle per cui è possibile la class action. Lo ha precisato la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nell'ordinanza n. 1925/2017 (qui sotto allegata).


La vicenda esaminata ruota intorno alla restituzione dell'importo di € 0,11, pari all'IVA applicata sulle spese postali di spedizione di una fattura, relativa al rapporto di utenza tra la Telecom e l'intimata, che assumeva tale importo come non dovuto e e l'IVA come erroneamente applicata.


L'utente aveva ottenuto dal Giudice di Pace la condanna della compagnia telefonica e l'appello di questa innanzi al Tribunale era stato dichiarato inammissibile. In Cassazione, la Telecom lamenta, con unico motivo di ricorso, che, per ritenere inammissibile l'appello, erroneamente il Tribunale ha ritenuto che la controversia fosse stata decisa dal primo giudice in via equitativa, escludendo che si potesse ritenere il contrario ai sensi del terzo comma dell'art. 113 c.p.c., in quanto non vi sarebbe stata prova della conclusione del contratto con moduli o formulari.


In realtà, il Giudice di pace

aveva espressamente asserito di decidere secondo diritto, anche perchè la sentenza era riferita a un contratto per adesione quale notoriamente è quello conclusione con una società di fornitura di servizi, per il quale l'art. 113 c.p.c. esclude la decisione secondo equità. Per gli Ermellini, dunque, la sentenza impugnata andrebbe cassata poichè l'appello era ammissibile.


Tuttavia, nella memoria la parte resistente (l'utente), eccepisce l'inammissibilità del ricorso per Cassazione

ritenendo che difetterebbe l'interesse della compagnia telefonica alla sua proposizione stante il valore infimo della causa. Questo facendo riferimento all'art. 24 della Costituzione e alla sentenza n. 4228/2015, la quale riguarda però altra fattispecie (espropriazione forzata).

Per gli Ermellini, tuttavia, tale interpretazione non coglie nel segno: se si accogliesse il riferimento all'art. 24 della Costituzione, si arriverebbe a una conclusione paradossale (proprio per chi l'ha invocato), perchè l'esclusione del diritto di azione per lo scarso valore economico della pretesa ricadrebbe a danno della stessa resistente, in quanto è lei che ha originariamente agito in giudizio introducendo una domanda di valore economico infimo.


D'altronde, la class action ha tra le sue funzioni principali proprio quella di favorire la tutela di interessi collettivi che spesso, se guardati singolarmente, possono essere di infimo valore. Poiché l'azione di classe non è obbligatoria e il consumatore o utente può agire singolarmente, è palese che l'assenza di limitazioni di valore economico della pretesa deve operare anche in sede di esercizio dell'azione individuale, altrimenti si creerebbe una disparità di trattamento tra l'agire uti singulus o collettivamente.

Cass., VI sez. civ., sent. n. 1925/2017

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