Un'analisi approfondita della riforma della disciplina delle insolvenze

Prof.Avv.Carlo Bruno Vanetti

1. La disciplina italiana delle insolvenze ha mantenuto come suo riferimento la Legge Fallimentare del 1942, la quale aveva 266 articoli nel 1942 e porta ancora oggi la numerazione da 1 a 266. E nella sua struttura continua a collocare come centro d'attenzione il commerciante persona fisica che cessa i pagamenti e viene estromesso repentinamente dal mercato, con la conseguente liquidazione frammentaria e dispersione del suo residuo patrimonio.

Ma forse a breve i progetti che stanno maturando in materia concorsuale comporteranno un completo restatement degli strumenti giuridici per intervenire su un'impresa in crisi.

2. In realtà la legge fallimentare, creata da una costola del Codice di Commercio 1882, in un momento in cui la situazione economico-politica era ben diversa, ha iniziato presto a subire modifiche e integrazioni, nella forma e nella prassi.

Prima per l'incidenza della normativa costituzionale, in particolare gli articoli 3 e 24 (si veda l'obbligo di convocazione del fallendo, la reclamabilità dei provvedimenti lesivi di diritti soggettivi, la decorrenza dei termini dalla effettiva conoscenza…).

Poi, per l'emergere dell'uso alternativo delle procedure concorsuali - quali strumenti per salvare l'impresa, impedendone o diluendone nel tempo il dissolvimento - , (riassumibile nella "trilogia di Avellino", ossia nella prassi, invalsa presso molti tribunali, di arrivare al fallimento solo dopo tentativi infruttuosi, prima di amministrazione controllata e poi di concordato).

Al contempo, dal 1979 in poi, con l'assoggettamento delle grandi imprese e dei gruppi insolventi ad una procedura speciale (la c.d. Legge Prodi), più autoritaria e al contempo conservativa (seppur con frequente pregiudizio dei creditori pregressi).

Infine, dal 2005, per una successione pressochè ininterrotta di novelle (la prima, più vistosa, intitolata pomposamente "riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali", modificava oltre 100 articoli della legge fallimentare), alla insegna della "de-giuridizionalizzazione", "privatizzazione", "depotenziamento" (degli effetti del fallimento sul soggetto fallito e sugli atti da lui compiuti nel periodo sospetto), e, sempre più, della continuità aziendale.

La rigida struttura della legge fallimentare non consentiva invece di inglobare nel suo testo un'altra importante novità: l'assoggettamento ad un regime concorsuale, con la possibilità di esdebitazione

, anche degli imprenditori non fallibili e del debitore civile; era così al contempo emanata una normativa a latere, data dalla legge 3/2012 sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento.

3. La disciplina del 2005-6, ed i continui suoi successivi aggiustamenti di rotta, hanno creato numerosi articoli "bis, ter, quater" (sino al 182-septies) e aggiunto commi ad altri (si veda il 67 LF , ma ancor più i dieci commi dell'articolo 161), nel complesso tornando progressivamente (e specie dal Decreto Sviluppo del 2012) a gravare il giudice di compiti ancor più onerosi e sostanziali, di quelli che gli erano stati tolti: in particolare, per le numerose ipotesi di autorizzazione ad atti straordinari nelle procedure con continuità aziendale e per la crescente casistica in tema di prededuzioni e consecuzione di procedure.

4. Il legislatore creava, al contempo, una serie di interrelazioni tra il diritto concorsuale e quello societario, sino a sospendere, in caso di procedura concorsuale e di deficit patrimoniale, l'operare della tradizionale regola "ricapitalizza o liquida", ed a modificare, a giudizio di molti interpreti, i compiti degli organi di controllo ed i doveri degli organi di gestione.

Si trattava pur sempre tuttavia di "innesti", che non potevano incidere sulla struttura organizzativa di fondo, che restava in sintesi: a) libertà del debitore di pregiudicare o lasciar progressivamente decadere la sua azienda, ignorandone lo stato di crisi, tentando operazioni ad alto rischio o liquidandola a sua discrezione; b) assoggettamento meramente volontario a procedure alternative al fallimento, od al fallimento stesso (senza obbligo di ricorrervi); c) impostazione contrattualistica, per cui la esistenza e le sorti dell'impresa, individuale o collettiva, sono strumentali alla volontà delle parti e una mera articolazione dell'attività del soggetto imprenditore, individuale o collettivo.

5. La necessità di non limitarsi a sparse modifiche, ma procedere a scelte coerenti di più ampio respiro, continuava tuttavia ad esser percepita.

Sin dai primi anni 80 del secolo scorso (progetto Pajardi), si era ipotizzato di organizzare gli interventi nei confronti di un'impresa insolvente su più tappe, delle quali la prima era una fase di moratoria, legata alla mera crisi, individuata nella insufficienza del margine operativo (MOL o EBITDA, incapacità di coprire i costi ordinari con i ricavi ordinari di gestione). e tentativo di salvataggio dell'impresa in base ad un piano di risanamento, affidato tuttavia alla tradizionale procedura di amministrazione controllata (nella quale l'unico effetto esdebitatorio era la dilazione anche pluriennale dei pagamenti - senza rivalutazione - e la riduzione degli interessi).

Seguiva una fase di accertamento, anche d'ufficio, dell'insolvenza con scelta della successiva procedura, ed infine l'accesso alla specifica procedura, liquidatoria o risanatoria (concordato, fallimento, liquidazione coatta, amministrazione straordinaria).

Lo schema così ipotizzato, malgrado il Progetto Pajardi non abbia avuto fortuna, è servito da traccia per la revisione, nel 1999, della legge Prodi, che da allora adotta un procedimento bifasico., e in ultima analisi si ritrova ora nel progetto Rordorf.

Per la riforma delle altre procedure, si conferiva l'incarico ad un gruppo di esperti, la Commissione Trevisanato, che per prima, sulla suggestione di modelli stranieri, ipotizzava la adozione di "istituti di allerta e di prevenzione", destinati a far emergere lo stato di crisi su iniziativa delle amministrazioni pubbliche e degli organi di controllo, e la creazione di organismi di supporto per la soluzione della crisi. .
La difficoltà di trovare un accordo sul documento finale aveva tuttavia fatto sì che tale commissione, nel giugno 2003, invece di consegnare un testo da sottoporre al Parlamento, generasse due progetti, uno di maggioranza e uno di minoranza.

Tra i punti di maggior attrito vi era quello del ruolo da riservare al giudice: mero controllore di legittimità, subordinato alla posizione dei creditori e del curatore/commissario; o invece elemento propulsore, capace di intervenire anche nel merito delle soluzioni proposte, valendosi eventualmente di consulenti tecnici che lo affianchino?

Dilemma che, ancor oggi, invece di essersi risolto, continua a porsi ed a gettare nubi sulle recenti prospettive di riforma.

Ma veniamo alle ultime vicende.

6. Come abbiamo ricordato, il Governo incaricava, nel gennaio 2015, una commissione presieduta da Renato Rordorf di riprendere il progetto di radicale ed organica riforma della legge fallimentare del 1942.

La commissione lavorava intensamente, muovendosi sulle tracce dei progetti Trevisanato (con le loro varianti), ed elaborando un testo di legge delega molto dettagliato e altrettanto vincolante per il successivo decreto (o decreti).

Cercava al contempo di mantenere ove possibile le principali novità introdotte dalla copiosa normativa più recente, la quale in alcuni casi, a sua volta, nel frattempo "plagiava" il lavoro in itinere della commissione Rordorf, adottando misure che la stessa stava definendo (come le disposizioni del 2015 sulle proposte ed offerte concorrenti, o quelle più recenti sul pegno non possessorio, sul patto marciano, sulla cessione dei crediti in contestazione).

Nel dicembre 2015 la Commissione consegnava i suoi lavori (schema di legge delega e relazione).

Il Governo ne prendeva atto e, apportatevi alcune limitate (ma significative!) integrazioni, il 10 febbraio 2016 licenziava il disegno di legge n. 371 intestato "Delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza".

Lo schema segue le indicazioni date dal Ministro della Giustizia nel decreto che istituisce la Commissione, che evidenzia la necessità di

  • valutare e coordinare le "modifiche normative susseguitesi in materia di procedure concorsuali e crisi d'impresa ovvero da sovraindebitamento",
  • curando "specifici approfondimenti della disciplina dei privilegi e delle garanzie",
  • valutando le ricadute della normativa comunitaria e
  • l'opportunità di "introdurre una specifica disciplina nazionale dell'insolvenza di gruppo",
  • accelerando e rendendo più proficue le procedure tramite

. il ricorso a modalità telematiche,

. la possibilità, nel concordato, di proposte e piani concorrenti,

. la razionalizzazione della formazione delle classi,

. la riduzione delle prededuzioni,

. la facilitazione del ricorso alla procedura di sovraindebitamento,

Tali indirizzi divengono "principi generali"espressi nell'art. 2 del disegno di legge, ove si dispone anche di

  • sostituire il termine "fallimento" e derivati con "liquidazione giudiziale" o "insolvenza";
  • introdurre una definizione dello stato di crisi , intesa come "probabilità di futura insolvenza";
  • adottare un unico modello processuale, sullo schema della istruttiria prefallimentare di cui all'art. 15 L.F., per accertare lo stato di crisi o di insolvenza;
  • assoggettare a tale accertamento qualunque categoria di debitore;
  • trattare prioritariamente le soluzioni conservative della continuità aziendale, riservando le soluzioni liquidatorie al fallimento;
  • assicurare la specializzazione dei giudici,
  • responsabilizzare gli organi di gestione,
  • ridurre le spese della procedura (inclusi i compensi dei professionisti prededucibili);
  • armonizzare le soluzioni con le forme di tutela dell'occupazione e del reddito dei lavoratori di cui alla Carta Sociale e direttive europee;
  • in genere, modificare ove necessario anche la formulazione delle norme non direttamente investite dalla delega, ai fini di armonizzazione del dettato normativo.

Questi principi vengono poi esposti in dettaglio in 14 successivi articoli, a loro volte composti di numerosi commi e lettere, tra le cui rubriche ricordiamo "gruppi di imprese", "procedure di allerta e di composizione assistita della crisi", "procedura di concordato preventivo", "procedura di liquidazione giudiziale", "sovraindebitamento", "privilegi", "modifiche al codice civile", "amministrazione straordinaria" (l'articolo 15, relativo a quest'ultima, veniva poi stralciato e fatto oggetto del disegno n. 3671-ter).

Notiamo, in particolare, che compare un articolo sulle procedure di allerta (cui si collegano anche nuovi doveri di monitoraggio da parte degli organi sociali e dell'imprenditore in genere), le quali non erano espressamente menzionate nei principi né nei compiti affidati alla Commissione Rordorf (ma solo nelle relazioni di accompagnamento).

7. Il quadro che si presenta può riassumersi come segue.

Le procedure concorsuali tradizionali restano, modificando la denominazione di "fallimento" in "liquidazione giudiziale", e con esse resta la nozione di insolvenza di all'art.5 L.F.: i concordati sono destinati alle ipotesi di continuità aziendale, la liquidazione giudiziale alle soluzioni liquidatorie.

Verranno aggiunte a) la "procedura di allerta e di composizione assistita della crisi" e b) una fase preliminare giudiziale e comune a più possibili procedure.

La procedura di allerta [a) di cui sopra] è confidenziale e stragiudiziale, ed ha come presupposto l'esistenza di uno stato di crisi iniziale, che evidenzi un pericolo di futura insolvenza (e che se conosciuta, potrebbe spesso legittimare anche dei terzi a ricorrere al tribunale, proponendo un accertamento giudiziale dello stato di crisi).

In caso di insuccesso o impossibilità di procedere ad una composizione stragiudiziale della crisi, si avrà un accertamento giudiziale dello stato di crisi (che nel frattempo potrebbe essere divenuto insolvenza), con un provvedimento del tribunale che dà inizio ad una fase (o distinta procedura) giudiziale "di osservazione" [b)].

Nella fase di osservazione, il Tribunale valuta in contraddittorio con tutti gli interessati la possibilità di mantenere la continuità aziendale e proporre ai creditori un accordo (similmente a quanto ora avviene nella amministrazione straordinaria ex D.Lgs.270/1999, che tuttavia presuppone una crisi qualificata e divenuta insolvenza).

Dalla fase comune di osservazione, applicabile anche ai debitori non commerciali o non fallibili, prende origine, tendenzialmente senza soluzione di continuità, né quindi necessaria convocazione del debitore, [c)] un fascio di procedure diverse, ossia quella di volta in volta più adatta alla situazione economico patrimoniale ed alla dimensione e tipologia dell'impresa (sovraindebitamento, piani attestati, accordi di ristrutturazione, concordato in continuità, liquidazione giudiziale, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria ordinaria o speciale, con programma di cessione o di ristrutturazione).

8. La struttura complessiva delle procedure dovrebbe quindi articolarsi secondo una serie di tentativi, organizzati idealmente, anche contro la volontà del debitore, secondo la scala che segue. 

- In presenza di crisi iniziale (o sintomi di crisi, o pre-crisi, rischio di futura insolvenza: forse anche un semplice calo di redditività):

  • misure di allerta e di composizione assistita
  • crisi avanzata o insolvenza iniziale, reversibile:
  • Fase di osservazione, previo accertamento giudiziale dello stato di crisi, preordinata anzitutto a trovare una soluzione con continuità aziendale.

In caso di mancato sbocco in concordato in continuità, accordo ex art.182-bis, amministrazione straordinaria con ristrutturazione (per le grandi imprese), - o fatti straordinari che incidano sulla redditività aziendale - la crisi diverrà irreversibile e si potrà avere la situazione di dissesto.

dissesto:

  • liquidazione giudiziale (ex fallimento, un po' velocizzato per le comunicazioni, i reclami, il realizzo dell'attivo ed i pagamenti)

Ed ora alcune osservazioni.

9. Per effetto del nuovo modello di intervento sulle crisi d'impresa, e in particolare della procedura di allerta, acquisterà piena rilevanza ai fini legali lo stato di crisi o pericolo di insolvenza.

Lo stato di crisi è in prima battuta sovrapponibile alla continuità aziendale di cui al principio di revisione 570, ma il legislatore delegato ne dovrà dettare una definizione più precisa, più basata su dati oggettivi e meno su stime, distinguendo tra

rischio (ovvero indizi) di futura insolvenza e probabilità di insolvenza, cui corrisponderà rispettivamente una situazione di allarme ed allerta e un accertamento giudiziale dello stato di crisi, con inizio della fase di osservazione.

Al contempo vi sarà il dovere (sanzionabile anche penalmente!) per l'imprenditore o gli organi sociali di accertare tempestivamente i sintomi della incombente crisi (già la "pre-crisi" o "possibilità"di insolvenza) e, se necessario per evitare la cessazione dell'attività aziendale, di ricorrere alla procedura di composizione assistita della crisi o direttamente alle normali procedure concorsuali.

10. Concludo rilevando che, in tal modo, viene meno la tradizionale libertà, per gli amministratori, di decidere le loro scelte di gestione, col solo limite di agire informati ed evitare le operazioni manifestamente irragionevoli (c.d.business judgement rule).

Da tali prerogative si poteva far derivare che di fronte ad una crisi (se il capitale è ancor salvo) possano restare legittimamente inerti, proseguendo con l'ordinaria amministrazione o limitandosi a mettere in liquidazione la Società.

Tale libertà di scelta - sulla scia peraltro di un trend da qualche tempo in atto - pare destinata a venir definitivamente sostituita dall'obbligo (esteso a tutti gli imprenditori) di effettuare in buona fede la scelta, anche straordinaria, comparativamente più ragionevole, valendosi anche di esperti, nell'ottica della continuità aziendale e approfittando delle nuove forme di tutela.

Con la possibilità che, in mancanza, il tribunale ammetta autonome iniziative di terzi e persino conferisca ad un amministratore giudiziale i poteri degli organi societari, inclusa l'espressione della volontà assembleare, con compressione dei normali diritti dei soci.

Parrebbe così emergere una visione decisamente istituzionalistica o sociale della persona giuridica e della stessa attività d'impresa, almeno in caso di insolvenza, superando le istanze di "privatizzazione" di cui alla riforma del 2005-2006

Prof. Avv. Carlo Bruno Vanetti

Associato nell'Università di Pavia

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