Per la Cassazione la convivenza come coniugi protrattasi per almeno tre anni impedisce che le sentenze ecclesiastiche siano dichiarate efficaci in Italia

di Lucia IzzoLa convivenza "come coniugi" protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, integra una situazione di "ordine pubblico italiano" tale da impedire la dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana delle sentenze definitive di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, per qualsiasi vizio genetico del "matrimonio - atto", ad esempio la "riserva mentale" del marito nei confronti del vincolo coniugale. 


Lo ha precisato la Corte di Cassazione, prima sezione civile, nella sentenza n. 23640/2016 (qui sotto allegata). Il marito era ricorso in Corte d'Appello per sentir dichiarare l'efficacia in Italia della sentenza ecclesiastica emessa dal Tribunale Ecclesiastico Regionale, confermata in appello e dichiarata esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, con la quale era stata dichiarata la nullità del matrimonio concordatario fra lui e la moglie per "esclusione dell'indissolubilità del matrimonio" da parte del marito.


La donna, invece, opponendosi alla richiesta, ha affermato che la convivenza fra i coniugi si era protratta per tutta la durata decennale del matrimonio allietato dalla nascita di una figlia e, in via subordinata, ha chiesto la condanna a una indennità ex art. 129 bis c.c. 


La Corte territoriale, nell'accogliere la domanda dell'uomo, riteneva decisiva in tal senso la conoscenza da parte della donna della riserva mentale rispetto al matrimonio che aveva caratterizzato l'atteggiamento e le dichiarazioni del partner, sin dall'epoca in cui i futuri coniugi erano fidanzati.


Il giudice a quo ha altresì ritenuto insussistenti i requisiti quanto alla domanda ex art. 129-bis c.c., per la cui l'applicazione è necessario che la nullità del matrimonio sia imputabile esclusivamente al coniuge tenuto alla corresponsione dell'indennità, e di cui sia riconosciuta la mala fede, mentre, per altro verso, deve essere riconosciuta la buona fede dell'avente diritto. Presupposti inesistenti nel caso in esame in cui la donna, pur a conoscenza delle riserve mentali del marito, aveva accettato il rischio di sposarlo, avendo fiducia che con il matrimonio si sarebbero annullate le tensioni derivanti dal differente atteggiamento dei nubendi.


Da qui la domanda in Cassazione con cui la ricorrente richiama la pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 16379 del 17 luglio 2014 secondo cui la convivenza come coniugi, protrattasi per almeno tre anni dalla data di celebrazione del matrimonio concordatario, è ostativa alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana delle sentenze definitive di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, per qualsiasi vizio genetico del matrimonio accertato e dichiarato dal giudice ecclesiastico nell'ordine canonico nonostante la sussistenza della convivenza coniugale.


La donna fa inoltre rilevare che la Corte di appello ha erroneamente attribuito rilievo alle dichiarazioni del marito circa l'assenza di armonia nella coppia e nella vita matrimoniale che avrebbe impedito l'instaurazione di un effettivo consorzio familiare e affettivo, mentre invece, dall'esame della documentazione e dalle prove acquisite nel corso del giudizio canonico, non si rivelano elementi dai quali evincere l'assenza di una vita coniugale comune, stabile e continuativa, esteriormente riconoscibile in corrispondenti fatti e comportamenti dei coniugi.


In sostanza, si legge nel ricorso, l'istruttoria espletata nel giudizio canonico ha evidenziato l'esistenza di una riserva mentale del marito non conosciuta dalla odierna ricorrente: circostanze queste ostative alla delibazione della sentenza ecclesiastica per contrasto all'ordine pubblico e al principio della tutela della buona fede e dell'incolpevole affidamento del soggetto rimasto estraneo alle riserve mentali del proprio coniuge.


Ciò è corroborato dal fatto che i coniugi hanno fortemente voluto e volontariamente concepito una figlia, fatto questo non considerato dalla Corte di appello che ne avrebbe dovuto dedurre la piena ed effettiva accettazione del rapporto matrimoniale, tale da implicare la sopravvenuta irrilevanza giuridica dei vizi genetici eventualmente inficianti l'atto di matrimonio


La difesa coglie nel segno e il ricorso è considerato fondato: gli Ermellini evidenziano che, per costante giurisprudenza, la convivenza "come coniugi", quale elemento essenziale del "matrimonio-rapporto", ove protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, integra una situazione giuridica di ordine pubblico italiano, la cui inderogabile tutela trova fondamento nei principi supremi di sovranità e di laicità dello Stato, e ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico per qualsiasi vizio genetico del "matrimonio-atto".

Il ricorso va pertanto accolto e la causa decisa nel merito con il rigetto della domanda di riconoscimento della sentenza ecclesiastica.

Cass., I sez. civ., sent. n. 23640/2016

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