Offendere l'altrui reputazione sulla bacheca di un social network è comportamento penalmente rilevante. Guida con giurisprudenza

Dott.ssa Anna D. Rahinò - La condotta posta in essere da un soggetto che offende il lavoro altrui (che sia un'attività o una professione) o più in generale l'altrui reputazione con un post sul social network "Facebook" è sanzionabile nel nostro ordinamento per "Diffamazione".

Tale fattispecie di reato è disciplinata dall'articolo 595 c.p., il quale stabilisce che "Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032 Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065. Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516 ".

Bene giuridico tutelato

Il reato di diffamazione, più nel dettaglio, è previsto dal nostro ordinamento al fine di tutelare il bene giuridico reputazione, intesa come un corollario dell'onore e come senso della dignità e del rispetto che una persona suscita nei consociati.

Si può, pertanto, affermare che il fine di questa fattispecie incriminatrice è rappresentato dalla difesa della reputazione di una persona e della stima che essa gode nell'ambiente sociale, sostanzialmente individuata nell'opinione che gli altri hanno del suo onore e del suo decoro.

A tal proposito si sottolinea che la reputazione - secondo la giurisprudenza - "non risiede in uno stato o un sentimento individuale, indipendente dal mondo esteriore, né tanto meno nel semplice amor proprio: la reputazione è il senso della dignità personale nell'opinione degli altri, un sentimento limitato dall'idea di ciò che, per la comune opinione, è socialmente esigibile da tutti in un dato momento storico" (Cassazione penale, Sez. V, sentenza 28 febbraio 1995 - 24 marzo 1995, n. 3247).

Presupposti della condotta diffamatoria

Affinché possa dirsi integrato il reato di diffamazione, è necessaria la sussistenza di tre presupposti: la comunicazione di un'espressione offensiva dell'altrui reputazione, l'assenza dell'offeso, la presenza di più persone.

Quanto alla natura dell'offesa, essa può consistere tanto in comportamenti direttamente lesivi dell'onorabilità, quanto in espressioni o atti che possono essere oggettivamente non lesivi della reputazione, ma che lo diventano per le forme adottate (Cass. Pen., Sez. I, 12.03.1985, Di Gianfrancesco).

La diffamazione aggravata su Facebook

Come detto, anche postare un commento offensivo di un'altra persona sulla bacheca di Facebook integra il reato di diffamazione.

Ma non solo: si tratta, più in particolare, di diffamazione aggravata dal mezzo della stampa.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24431/2015, ha infatti stabilito che inserire un commento su una bacheca di un social network significa dare al suddetto messaggio una diffusione che potenzialmente ha la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, sicché, laddove questo sia offensivo, deve ritenersi integrata la fattispecie aggravata del reato di diffamazione. L'utilizzo diffuso dei social network, infatti, dà alle affermazioni che compaiono sui siti che li ospitano una diffusione capillare e potenzialmente illimitata, assimilabile a quella della stampa.

Più in particolare, a siffatte conclusioni la Suprema Corte è pervenuta ricordando innanzitutto che il reato di diffamazione può essere commesso a mezzo di internet (Cass., n. 4741/2000; Cass. n. 44126/2011) e che quando ciò si verifica si è in presenza di un'ipotesi aggravata della fattispecie base (Cass., Sez. V, 16 ottobre 2012, n. 44980). Quando poi l'offesa avviene mediante i cosiddetti social network - ovvero, come nel caso di specie, su una bacheca Facebook -, secondo la Corte di legittimità non vi è ragione per approdare a conclusioni diverse e non solo perché in questo caso v'è l'applicazione di risorse informatiche.

Infatti, secondo la Cassazione, l'ipotesi di reato di cui al terzo comma dell' art. 595 c.p. quale fattispecie aggravata del delitto di diffamazione trova il suo fondamento nella potenzialità, nella idoneità e nella capacità del mezzo utilizzato per la consumazione del reato a coinvolgere e raggiungere una pluralità di persone, ancorché non individuate nello specifico ed apprezzabili soltanto in via potenziale, con ciò cagionando un maggiore e più diffuso danno alla persona offesa.

Mezzo di pubblicità

Peraltro, nel prevedere la fattispecie aggravata del reato di diffamazione, il codificatore si è riferito al mezzo della stampa e a "qualsiasi altro mezzo di pubblicità".

In tale nozione la giurisprudenza nel tempo ha fatto rientrare una vasta serie di mezzi di diffusione, tra i quali ad esempio:

1) un pubblico comizio (Cass., sez. V, 28 maggio 1998, n. 9384);

2) l'utilizzo, al fine di inviare un messaggio, della posta elettronica secondo le modalità del forward e cioè verso una pluralità di destinatari, trattandosi anch'esso di mezzo idoneo a provocare una ampia e indiscriminata diffusione della notizia tra un numero indeterminato di persone.

Diffusione su Facebook

E' chiaro, quindi, che la diffusione di un messaggio con le modalità consentite dall'utilizzo di una bacheca facebook ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, sia perché, per comune esperienza, bacheche di tal natura racchiudono un numero apprezzabile di persone, sia perché l'utilizzo di facebook integra una delle modalità attraverso le quali gruppi di soggetti socializzano le rispettive esperienze di vita, "valorizzando in primo luogo il rapporto interpersonale, che, proprio per il mezzo utilizzato, assume il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione".

Del resto, Facebook ha una «diffusione incontrollata». Il social network, infatti, consente la comunicazione con più persone» alla luce del«carattere pubblico dello spazio virtuale in cui si diffonde il pensiero» dell'utente che entra «in relazione con un numero potenzialmente indeterminato di partecipanti».

Di conseguenza, deve ritenersi che la condotta di postare un commento sulla bacheca Facebook realizza la pubblicizzazione e la diffusione del commento, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone comunque apprezzabile per composizione numerica, di guisa che, se tale commento è offensivo, la relativa condotta rientra nella tipizzazione codicistica descritta dal terzo comma dell'art. 595 c.p. (Cassazione penale, Sezione V, sentenza 16 ottobre 2012, n. 44980; Cass. n. 44126/2011; Cass. n. 4741/2000).

Elemento psicologico

Venendo all'elemento psicologico, ai fini dell'integrazione del delitto di diffamazione non è necessaria l'intenzione di offendere una determinata persona, ma basta la semplice volontà di utilizzare espressioni offensive con la consapevolezza "di poter offendere" (dolo generico).

Questo tipo di atteggiamento psicologico, in sede istruttoria, sarà rilevato analizzando direttamente le frasi scritte sulla bacheca e il significato delle singole parole oggetto di diffamazione: è proprio l'analisi delle suddette frasi, calate in quel dato contesto, che permette di tracciare "il limite" tra il diritto di critica, che ricordiamo è ampiamente tutelato dal nostro ordinamento, e la fattispecie delittuosa non scriminata.

In conclusione, per la configurabilità del reato non è necessario alcun dolo specifico, il c.d. animus diffamandi (Cass. Pen., Sez. Vi, 16.06.1981, Cederna - Cass. Pen., SEz. V, 20.01.1998, Curcio), ma << in tema di diffamazione il dolo è generico e consiste nella volontà di riferire determinate notizie o dare determinati giudizi con la consapevolezza della loro idoneità a incidere negativamente sull'altrui reputazione. Ne consegue che qualora la potenzialità lesiva di quanto affermato sia inequivocabile non è necessaria specifica verifica in ordine all'elemento psicologico>> (Cass. Pen., Sez. V, 20.11.2007 n. 128). In altre parole <<ai fini della sussistenza della sussistenza dell'elemento psicologico del reato di diffamazione non si richiede l'intenzione di offendere la reputazione della persona, risultando sufficiente il dolo generico, vale a dire la volontà ci chi agisce di adoperare espressioni offensive, con la consapevolezza del discredito che da tale condotta possa derivare per l'altrui reputazione>> (Cass. Pen., Sez. V, 17.10.2007 n. 46299)

La diffamazione su Facebook nella giurisprudenza

Le pronunce sopra riportate sono solo alcune di quelle che sono giunte alla conclusione che le offese su Facebook possono integrare il reato di diffamazione aggravata e che hanno contribuito a definire gli esatti confini di disciplina.

Ad esempio, con la sentenza numero 24431/2015 la Cassazione, richiamando una precedente giurisprudenza che avvalora la possibilità di diffamazione via internet, ha precisato che l'aggravante rileva«nella potenzialità, nella idoneità e nella capacità del mezzo utilizzato per la consumazione del reato a coinvolgere e raggiungere una pluralità di persone (...) con ciò cagionando un maggiore e più diffuso danno alla persona offesa».

L'assenza dell'offeso, inoltre, in generale va intesa non nel senso di materiale lontananza fisica, ma di impossibilità del soggetto passivo di essere ricettore delle espressioni offensive (Cass. Pen., Sez. II, 16.01.1957, Nicolidi).

Quanto alla pluralità delle persone a cui è indirizzata la comunicazione, è la giurisprudenza che ha chiarito che quest'ultima deve raggiungere almeno due persone (Cass. Pen., Sez. V, 17.03.1969, Fiore) e che in tale numero devono ricomprendersi sia le eventuali altre vittime del reato (abbiano o no presentato querela), sia gli eventuali correi dell'autore.

Inoltre,secondo autorevole pronuncia, << Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 595 c.p., la condotta diffamatoria consiste nell'offendere l'altrui reputazione comunicando con più persone e tale condotta si realizza quando il reato è commesso a mezzo stampa>> (Cass. Pen., Sez. VI, 22.05.2007 n. 37080).

Infine, si ritiene interessante riportare un'ultima importante pronuncia della Suprema Corte in materia di diffamazione secondo cui <<Deve ravvisarsi l'illecito civile per lesione del diritto all'identità personale quando vi sia distorsione dell'effettiva identità personale o alterazione, travisamento, offuscamento, contestazione del patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale. Deve, invece, ritenersi la sussistenza del delitto di diffamazione quando alla lesione suddetta si pervenga mediante offesa della reputazione. Con la precisazione che la reputazione non si identifica con la considerazione (talvolta ombrosa) che ciascuno ha di sé o con il mero amor proprio, ma con il senso di dignità personale in conformità all'opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico, e che il diritto all'identità personale non implica, comunque, la pretesa di una costante corrispondenza tra la narrazione di fatti riferiti a una determinata persona e l'idea che la stessa ha del proprio io, giacché, altrimenti, verrebbe preclusa la possibilità di esercizio del legittimo diritto di critica>> (Cass. Pen., Sez. V, 7.02.2008 n. 10724).


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