Le regole "non scritte" degli uomini di legge

di Valeria Zeppilli - Per fare un buon avvocato non basta la sola conoscenza delle leggi. E neppure il solo rispetto delle norme deontologiche: ci vuole anche un pizzico di bon ton. E intendo riferirmi a quel complesso di regole "non scritte" che devono far parte del background culturale di ogni uomo di legge e che sono indici di rispetto del prossimo e di educazione.

Sono regole che all'interno delle aule di giustizia e negli studi legali assumono una rilevanza ancora più pregnante.

Vediamo alcune di queste norme di "etichetta" che pur non essendo imposte dalla legge né da norme deontologiche, riescono a migliorare l'immagine di un professionista.

La corrispondenza tra colleghi

Quando si scrive a un collega, occorre tenere a mente che non stiamo scrivendo una diffida né un atto giudiziario: ci stiamo rapportando con un collega ed è bene innanzitutto moderare i toni. Possiamo affrontare qualsiasi questione giuridica anche in aperto contrasto senza per questo utilizzare toni polemici od offensivi (neppure quando ci si riferisce alle parti).

Inoltre se è la prima volta che si scrive a un collega, è sempre gradito concludere la missiva con una frase del tipo "lieto dell'incontro professionale".

Ai colleghi ci si può riferire con le parole "Egregio" e "Pregiato" mentre per le colleghe va bene la parola "Gentile", ma se c'è un buon rapporto nulla da togliere ai classici "Caro Collega" o "Cara Collega".

Firmarsi facendo precedere il titolo "Avv." a nome e cognome, infine, non è da tutti considerato elegante.

I contatti telefonici

Quando con un collega si decide di comunicare telefonicamente, il bon ton suggerisce di non farsi annunciare dalla segretaria ma di chiamare direttamente.

Se, poi, la telefonata la si riceve ma non si può rispondere, i puristi dell'educazione ritengono sempre consentita la "bugia bianca" da parte di chi risponde, ossia l'uso di "scuse" del tipo: "l'avvocato non è in studio" o "è in riunione" o, meglio ancora, "è impegnato sull'altra linea". In ogni caso, è buona educazione richiamare il prima possibile. I colleghi hanno sempre la precedenza.

Gli incontri in studio

Venendo agli incontri dentro lo studio legale, la "vecchia scuola" insegna a non porre una scrivania tra sé e il collega, ma di sedersi sempre dallo stesso lato. Sia quando sono presenti le parti sia quando ci si incontra da soli. Il collega non è un cliente! Lasciamo quindi da parte per un pò la nostra comoda poltrona. Quando poi deve decidere in quale studio incontrarsi è sempre bene scegliere quello del collega più anziano.

Nelle aule dei Tribunali

Usciamo ora dalle mura dello studio, per arrivare all'interno di quelle dei Tribunali.

Parlare in aula e accalcarsi dinanzi al giudice benché sia diventata un'abitudine, non è mai espressione di bon ton, così come non lo è recarsi in udienza vestiti in maniera troppo disinvolta (a tal proposito vedi anche: "Avvocati: niente infradito e bermuda in tribunale").

L'importanza di mantenere una certa educazione nelle aule di giustizia, peraltro, sta divenendo oggetto di vere e proprie intese: a Bari, ad esempio, giudici e avvocati hanno recentemente firmato un apposito accordo sulle norme di decoro da seguire all'interno del Tribunale: un protocollo i cui contenuti spaziano dal dress code all'organizzazione delle udienze.

In realtà proprio sul dress code negli ultimi tempi c'è stata una stretta diffusa in molti uffici giudiziari: complici alcune degenerazioni incoraggiate dal caldo estivo, numerosi presidenti hanno posto regole ben precise.

Attenzione però, il rispetto del bon ton e delle forme non devono mai prevalere sulla sostanza, perché c'è sempre qualcosa di più importante dell'abito: la persona che lo sta indossando.

Valeria Zeppilli

Foto: 123rf.com
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