Con la sentenza n. 345/2016 il giudice marchigiano ha affrontato diverse questioni interessanti, non limitate alla lite temeraria.

di Valeria Zeppilli - Lo scorso 31 marzo, il Tribunale di Macerata ha pubblicato una sentenza molto interessante in quanto, nel rigettare un'opposizione a decreto ingiuntivo, ha affrontato numerose questioni degne di essere menzionate.

La pronuncia, in particolare, è la numero 345/2016.

Essa rileva innanzitutto in quanto per il suo tramite il giudice ha affermato che il foro del consumatore non può essere applicato quando si verta in materia di contratto di fideiussione e questo sia stato concluso a garanzia di un debito che un soggetto abbia contratto nell'esercizio della sua attività professionale.

In tal caso, infatti, ai fini dell'applicabilità della normativa specifica a tutela del consumatore occorre fare riferimento all'obbligazione garantita, stante l'accessorietà a quest'ultima dell'obbligazione del fideiussore.

Un'altra questione affrontata è quella della perizia grafologica che, per il Tribunale di Macerata, non rappresenta l'unico e imprescindibile mezzo in mano al giudice per accertare l'autenticità di una sottoscrizione. Ad essa, infatti, non è necessario fare ricorso quando dagli elementi acquisiti nel processo, logici e di manifesta evidenza, sia comunque possibile procedere al predetto accertamento.

Nel caso di specie è stata considerata idonea a permettere di evitare una simile perizia la presenza di un altro documento in atti, firmato dallo stesso fideiussore in maniera palesemente identica a quella contestata.

Particolarmente rilevante, poi, è la posizione assunta dal giudice con riferimento alla previsione di cui al comma 3 dell'articolo 96 del codice di rito.

Tale norma, secondo quanto emerge dalla sentenza in commento, ha una necessaria finalità riparatoria che giustifica che la condanna sia fatta a vantaggio della controparte piuttosto che dello Stato.

La tutela contro gli effetti collaterali del processo, ricorda il Tribunale, ha rilevanza anche a fini risarcitori di fronte alle iniziative o alle resistenze processuali abusive, che siano state coltivate con mala fede o colpa grave e che non abbiano nulla a che vedere con il diritto di difesa.

Oltretutto, le liti temerarie devono considerarsi anche irragionevoli ai sensi dell'articolo 6 della Cedu e dell'articolo 111 della nostra Costituzione.

Con riferimento all'articolo 96 c.p.c., la sentenza in commento ha infine ricordato che la nuova previsione contenuta in tale articolo prende le distanze dalla struttura tipica dell'illecito civile ma va considerata, piuttosto, come mezzo per introdurre una cd. condanna punitiva.

Nell'affermare ciò, il Tribunale ha anche chiarito quali parametri devono essere utilizzati per determinare, in via equitativa, la somma da corrispondere.

Occorre fare riferimento, in particolare, al valore, all'oggetto e alla natura della controversia, alla qualità delle parti, alla durata del procedimento, alla condotta assunta dal soccombente durante il processo, alla gravità della condotta di abuso del processo e a quanto questa abbia inciso sul diritto alla ragionevole durata del processo.

Il tutto senza dimenticare di gettare un occhio anche ai criteri elaborati dagli osservatori istituiti presso alcuni Tribunali italiani.

Peraltro, dell'articolo 96, terzo comma, si è recentemente occupata anche la Corte costituzionale confermandone la conformità al testo del 1947.

La sentenza numero 152 del 23 giugno scorso, infatti, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della predetta norma per presunto contrasto con gli articoli 3, 24 e 111, confermando così la conformità del pagamento della penale per lite temeraria ai principi del nostro ordinamento.



Valeria Zeppilli

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