Il Tribunale di Roma si pronuncia in merito ai criteri di determinazione dell'importo dovuto all'ex coniuge quando la durata del matrimonio è breve
di Valeria Zeppilli - L'assenza di parametri precisi per l'individuazione dell'ammontare dell'assegno di mantenimento e divorzile fa sì che troppo spesso per risolvere tale questione ci si trovi "costretti" ad affollare le aule di giustizia.

Aule di giustizia dalle quali, almeno, arrivano spesso preziose indicazioni. Così, proprio la giurisprudenza ha stabilito una serie di "parametri", in base ai quali, una volta appurata l'esistenza del diritto al mantenimento, il giudice potrà determinarne l'ammontare.

Tra questi rilevano: il tenore di vita goduto dalla coppia in costanza di matrimonio; le effettive possibilità finanziarie ed economiche del coniuge onerato; l'apporto dato dal coniuge beneficiario alla famiglia e ai figli durante il matrimonio; l'età del coniuge beneficiario e la sua capacità lavorativa; la durata del matrimonio

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Proprio su questo parametro la giurisprudenza ha speso più volte il proprio tempo stabilendo che, al fine di evitare che il mantenimento assuma il carattere di una rendita parassitaria, il quantum dell'assegno vada sempre rapportato alla durata del vincolo (cfr., tra le altre, Cass. n. 10644/2011).

Di recente, in merito è intervenuto il Tribunale di Roma, con sentenza depositata l'otto gennaio 2016 (qui sotto allegata), ha chiarito l'effettiva importanza dell'incidenza della durata del matrimonio sulla determinazione del quantum dell'assegno divorzile spettante al coniuge che, privo di professionalità, ha dato un importante apporto alla vita familiare.

In particolare i giudici hanno ricordato che le fasi in cui si articola l'accertamento del diritto all'assegno divorzile sono due.

La prima è quella in cui il giudice verifica in astratto l'esistenza del diritto, tenendo conto sia del tenore di vita goduto durante il matrimonio che della capacità lavorativa del coniuge richiedente, procedendo già a determinare il tetto massimo dell'assegno, individuando quali somme siano idonee a superare l'inadeguatezza dei mezzi di sostentamento dell'istante.

La seconda fase, invece, è quella in cui l'ammontare dell'assegno va determinato in concreto tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione di separarsi, della durata del rapporto di coniugio, del contributo personale ed economico che ciascuno ha dato alla conduzione familiare e del patrimonio di ciascuno o comune.

Tali fattori agiscono come strumenti di contenimento della somma astrattamente considerata, potendone provocare anche l'azzeramento.

Così, nel caso di specie, sebbene numerosi elementi propendessero per l'accoglimento della richiesta della ex moglie di ottenere un assegno di 2mila euro mensili, il Tribunale di Roma ne ha riconosciuto uno di "soli" 1.300.

Infatti la durata del matrimonio si era estesa per un arco temporale di appena 4 anni di convivenza coniugale (dalla celebrazione all'omologa della separazione) e di 9 anni di durata legale, da computarsi fino alla sentenza che ha pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

A ciò si aggiungeva il fatto che il marito ha anche l'onere di mantenere quattro figli nati dal primo matrimonio.

In tale circostanza, quindi, 2mila euro sarebbero stati davvero troppi.

Vedi anche: Lo strumento online per il calcolo dell'assegno di mantenimento

Tribunale di Roma testo sentenza 8 gennaio 2016
Valeria Zeppilli

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