Ad affermarlo è il rapporto della Corte dei Conti diffuso in questi giorni che sostiene la necessità e la fattibilità di un intervento sull'imposta

di Marina Crisafi - Negli ultimi tempi, si è assistito ad una continua lotta tesa a "sterilizzare", "scongiurare" o "disinnescare" le famose clausole di salvaguardia, ossia quell'assegno in bianco che il Governo ha firmato a garanzia dei tagli alla spesa, con la spada di Damocle sulla testa (degli italiani!) dell'aumento dell'Iva in caso di mancato recupero delle risorse utilizzate.

L'ultima "sterilizzazione" si è avuta con la legge di Stabilità 2016 che ha rinviato il problema dell'aumento dell'Iva che doveva scattare quest'anno, al prossimo. Ma ora, l'aumento per il prossimo anno si rivela inevitabile e, anzi, "giustificato e preferibile" ad altre forme di imposizione indiretta. A dirlo non è l'esecutivo ma la Corte dei Conti nel rapporto 2016 diffuso in questi giorni sul coordinamento della finanza pubblica.

L'aumento dell'Iva, fino a un massimo del 13% per le aliquote oggi al 10% e fino al 25,5% per quelle al 22% si rivela, per i magistrati contabili, non solo necessario sul versante delle entrate - visto che tagliando le spese fiscali, un contributo è pur sempre dovuto - ma anche tra "i meno distorsivi quanto a impatto sull'economia".

L'Italia, infatti, è fanalino di coda nella graduatoria europea sul rendimento dell'imposta sul valore aggiunto e sarebbe preferibile un aumento della stessa, che resterebbe nell'area individuata dalla clausola di salvaguardia, con una ridistribuzione tra aliquota ordinaria e agevolata (nel senso di un ampliamento del perimetro di quest'ultima), piuttosto che l'azione su altre forme di imposizione come Irpef, Irap (o altre) che risulterebbe limitata, parziale e lontana da ogni soluzione di riforma strutturale.


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