Per la Corte d'Appello di Napoli, non c'è violazione del principio del ne bis in idem

di Lucia Izzo - La radiazione dall'albo, quale sanzione disciplinare comminata ad un professionista già condannato dal giudice penale, non viola il principio del ne bis in idem e del divieto della doppia punizione per lo stesso fatto, ai sensi dell' art. 4, protocollo n. 7 della CEDU.


Lo ha disposto la Corte d'Appello di Napoli con la sentenza n. 153/2016 (qui sotto allegata) risalente allo scorso 18 gennaio.

L'appellante, psicologo, con determinazione del Consiglio dell'Ordine degli Psicologi di Napoli era stato radiato dal relativo albo, a seguito di sentenza di patteggiamento a anni due di reclusione (con sospensione condizionale della pena), per il reato di violenza sessuale (art. 609 bis c.p.) commesso nei confronti di una paziente.


Il professionista deduce la violazione del divieto di ne bis in idem e il contrasto con l'art. 117 Cost. e l'art. 4, protocollo n. 7 della CEDU, in quanto già sottoposto a sanzione di carattere penale e nuovamente assoggettato a sanzione amministrativa, ma "sostanzialmente penale".


Si tratta di principi che hanno trovato applicazione anche nella nota sentenza "Gabetti - Grande Stevens" della Corte EDU, la quale, per garantire un'effettiva applicazione del divieto di un secondo giudizio sui medesimi fatti, diritto fondamentale riconosciuto dalla Convenzione, ha ritenuto non vincolante la qualificazione come sanzione penale da parte dell'ordinamento di uno stato aderente di una misura di carattere afflittivo ed ha ritenuto non dirimente l'effetto privativo della libertà personale


La Corte d'Appello partenopea, evidenzia che la giurisprudenza in materia di Diritti Umani si è sviluppata a riguardo a partire dal leading case "Engel e altri c. Paesi Bassi", che aveva provveduto ad elaborare criteri poi confermati nel caso "Gabetti - Grande Stevens".


A norma di tale decisione, tutti gli Stati contraenti fanno una distinzione, anche se in forme e gradi diversi, tra procedimento disciplinare e procedimento penale: la Convenzione, senza alcun dubbio, permette agli Stati, nello svolgimento della loro funzione di custodi del pubblico interesse, di mantenere o stabilire una distinzione tra diritto penale e diritto disciplinare, e di disegnare la linea di demarcazione, ma solo a determinate condizioni.

Infatti, la Corte EDU ha stabilito che l'autonomia del concetto di "accusa penale" impone, per l'effettività della tutela del diritti convenzionali di non attribuire valore vincolante alla terminologia adottata dal legislatore nazionale.


Dovrà tenersi conto, in sostanza, della natura sostanziale dell'illecito commesso, cioè verificare se la condotta viola una norma che protegge il funzionamento di una determinata formazione sociale oppure se è una norma preposta, invece, alla tutela erga omnes di beni giuridici della collettività.

Infine dovrà considerarsi il grado di severità della pena che rischia la persona interessata poiché in una società di diritto appartengono alla sfera "penale" le privazioni della libertà personale suscettibili di essere imposte quali punizioni, eccezione fatta per quelle la cui natura, durata o modalità di esecuzione non possano causare un apprezzabile danno.


Il Collegio evidenzia che la sanzione della radiazione da un Ordine professionale non è per il legislatore nazionale sanzione penale (primo criterio Engel), ma è altresì indiscutibile che quando, come nella specie, la condotta è stata commessa nell'esercizio della professione o possa comunque comportare una valutazione negativa delle capacità professionale o della dignità morale necessaria per espletare in modo affidabile la professione, la radiazione tuteli interessi specifici di una formazione sociale ristretta, quale quello dei pazienti degli psicologi appartenenti all'ordine, e che non si tratti, invece, di una sanzione posta alla tutela erga omnes di beni della collettività.


La sanzione, quindi, non assume (almeno direttamente) funzione repressiva, ma inibitoria, di tutela dei clienti del professionista e del prestigio della professione stessa.

Quindi, nella specie, le sanzioni irrogate rivestono per l'ordinamento italiano natura amministrativa e non penale e non possono neppure essere qualificate come penali in virtù della tipologia di sanzione.


Ai fini della Convenzione, poiché la Corte Edu esclude la sanzione disciplinare dall'ambito applicativo della nozione di accusa in materia penale, eccetto quelle sanzioni sensibilmente limitative per la libertà personale (arresto provvisorio, consegna disciplinare prolungata) che presentano una finalità punitiva.

In materia, ad esempio, la stessa Corte ha ritenuto estranea alla nozione di accusa di carattere penale la sanzione del collocamento obbligatorio a riposo, del tutto analogo a quello della radiazione del professionista dall'Ordine.


Solo, quindi, quando la sanzione ha un carattere afflittivo della libertà personale per un considerevole lasso di tempo, si è ritenuto che si trattasse di una accusa a carattere penale, nonostante la natura disciplinare del processo e la qualificazione disciplinare della sanzione.

Pertanto, affermano i giudici, risulta evidente, in conclusione, che la sanzione penale irrogata, quindi, non escluda, ai fini della Convenzione, la possibilità di instaurare un provvedimento disciplinare nel quale valutare la idoneità dello psicologo ad esercitare la professione e che possa concludersi con la sanzione della radiazione.

Corte d'Appello Napoli, sent. 153/2016

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