Nota di commento alla sentenza Tar Ancona n. 663 del 18 settembre 2015

Avv. Francesco Pandolfi - Nel caso in cui la Prefettura adotti un provvedimento con il quale arrivi a vietare ad una persona di detenere alcune armi di sua proprietà, specificatamente indicate, concedendogli allo stesso tempo un termine per alienarle e infine condizionando l'eventuale confisca e rottamazione al caso in cui egli non adempia alla predetta alienazione, ci si deve aspettare che la soluzione amministrativa al problema si basi su una conoscenza veramente approfondita del soggetto che subisce il divieto.

Si perché se fosse adottato quel provvedimento senza una compiuta istruttoria e motivazione, l'atto sarebbe decisamente impugnabile e, con ogni probabilità, pure accolto dal tribunale amministrativo in caso di ricorso.

Vediamo i fatti concreti oggetto di valutazione da parte della magistratura.

Nella situazione reale ci troviamo di fronte ad un divieto di detenere armi già sequestrate cautelativamente dal Commissariato di P.S. sulla base di rapporti conflittuali con la ex coniuge e per i quali pendono in capo al ricorrente alcuni procedimenti penali, più che altro riconducibili alla violazione degli obblighi di assistenza familiare e al reato di minaccia.

Che cosa fa il Prefetto? semplicemente vieta la detenzione, ordina l'alienazione delle armi in catalogo, si riserva di procedere a confisca e rottamazione laddove mancasse l'alienazione.

Che cosa fa il Tar? Intelligentemente dubita dell'operato amministrativo (Tar Ancona, sentenza n. 663/15), in quanto nel fascicolo processuale non trova riscontri alla tesi del Ministero dell'Interno, il quale vorrebbe legare il divieto ad una presunta (generica) inaffidabilità del detentore delle armi.

E' bene, in ogni caso, essere chiari: la finalità perseguita dalla legge è prevenire la commissione dei reati ed evitare i sinistri ... ed in questo quadro così generale troviamo evidentemente il ben noto rigido atteggiamento valutativo dell'amministrazione.

Ma, pur consapevoli della giurisprudenza rigorosa circa l'interpretazione della normativa in materia di armi, dobbiamo sempre essere capaci di indagare se vi siano o meno reali motivazioni sottese al bisogno di impedire la detenzione dell'arma, così ostacolando la proliferazione di pericoli.

Quali presupposti, dunque, per vincere la causa? In definitiva il ricorso è accolto se il Prefetto omette un'adeguata istruttoria sui presupposti che hanno determinato il provvedimento.

In altri termini:

a) se manca nell'atto che si impugna una diretta ed esplicita relazione con l'arma rispetto ai fatti contestati;

b) inoltre se è carente l'approfondimento sulla personalità del soggetto, sulle sue abitudini e sulle sue inclinazioni;

c) infine se le considerazioni sulla presunta pericolosità personale (originata da una personalità aggressiva e violenta), siano solo congetture prive di riscontri oggettivi.

I suggerimenti per i casi analoghi sono molto semplici: essere pazienti ed attenti nell'analisi del provvedimento amministrativo che vieta la detenzione dell'arma, non lasciarsi sfuggire i dettagli e contestare con fermezza l'atto in quanto visibilmente carente sotto il profilo motivazionale.

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Francesco Pandolfi
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Si occupa principalmente di Diritto Militare in ambito amministrativo, penale, civile e disciplinare ed и autore di numerose pubblicazioni in materia.
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