Secondo la Suprema Corte lo stop della causa provocato dall'esercizio di una facoltà di parte può determinare irragionevole durata del processo ai fini dell'indennizzo

di Lucia Izzo - In materia di equa riparazione, il rinvio di udienza, pur se disposto sull'istanza di parte presentata in vista dell'esercizio legittimo di una facoltà processuale, non rende automaticamente non computabile ai fini della legge n. 89/01 il lasso di tempo intermedio qualunque esso sia, né dimostra per ciò stesso l'interno dilatorio della parte se tale facoltà processuale non sia stata poi effettivamente esercitata


Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nella sentenza n. 22764/2015 (qui sotto allegata) originata dal ricorso di un uomo che lamenta l'irragionevole durata del processo penale a suo carico.

Il ricorrente indica che il processo era durato complessivamente 7 anni e 9 mesi per i due gradi di merito e il giudizio di cassazione, a cui doveva essere computato anche il periodo nel quale il dibattimento era rimasto sospeso a seguito dell'esercizio della facoltà prevista dall'art. 5 legge n. 134/03, a cui non seguiva il patteggiamento della pena.


Nonostante la diversa decisione della Corte d'Appello, i giudici della Cassazione ritengono il ricorso meritevole d'accoglimento.

La norma summenzionata, consente all'imputato di richiedere la sospensione del dibattimento al fine di valutare l'opportunità della richiesta ex art. 444 c.p.p.


Dalla giurisprudenza riguardante l'irragionevole durata del processo e il relativo indennizzo ai sensi della legge Pinto (89/2001), si ricava che non vi è alcun automatismo tra il superamento dei termini di legge stabiliti per l'attività del giudice e l'indennizzo per dilazione irragionevole.

Neppure la violazione della ragionevole durata discende come conseguenza automatica dalla disposizione di rinvii della causa di durata eccedente i giorni previsti, ma si deve considerare il superamento della durata ragionevole in termini complessivi.


I rinvii richiesti dalle parti posso detrarsi solo nei limiti in cui si riscontri un intento dilatorio o negligente inerzia delle stesse, e, in generale, dall'abuso del diritto di difesa; gli altri rinvii restano addebitabili alle disfunzioni dell'apparato giudiziario.


Ha errato la Corte territoriale nel ritenere che l'intero lasso di tempo durante il quale il processo era rimasto sospenso al fine di esercitare la facoltà prevista dalla legge n. 134/03, dovesse essere sottratto dalla durata eccedente indennizzabile. 

Nonostante l'art. 5 legge cit. prevede che la sospensione del dibattimento non sia inferiore a 45 giorni, non per questo si autorizza in ogni caso la fissazione di un termine maggiore o si giustifica l'intera dilazione che ne sia seguita.

Sarà il giudice a dover valutare se ed in quale misura il maggiore lasso temporale intercorso rispetto al minimo di legge fosse giustificato dalle esigenze processuali del caso singolo.

Parola al giudice del rinvio. 

Cass., VI civile, sent. 22764/2015

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