Condannata per ...'sequestro' di marito. E' la pena inflitta dalla Corte di Cassazione ad una donna veneta, Amalia B., che aveva chiuso il consorte nella taverna di casa. Per fare scattare la condanna per sequestro di persona, dice la Quinta sezione penale, basta 'che il soggetto passivo sia posto nella impossibilita' assoluta di recuperare la liberta' di movimento, essendo sufficiente che tale impossibilita' sia soltanto relativa'. Amalia, in via di separazione da Francesco B., chiuse il marito nella taverna della casa coniugale per cinque ore. Scattata la denuncia, per il tribunale di Venezia la donna non era passibile di condanna perche' 'nel momento in cui aveva chiuso a chiave la porta dall'esterno ignorava che il marito fosse sprovvisto della chiave, dimenticata nella vettura'. Un ragionamento non condiviso della Corte d'Appello di Venezia che, nel maggio del 2003 rilevava come, nonostante le invocazioni di aiuto del marito, la moglie era rimasta indifferente fino all'arrivo dei carabinieri. Amalia ha protestato in Cassazione ma piazza Cavour, respingendo il ricorso, ha reso definitiva la condanna per sequestro di persona
sottolineando che 'ad integrare l'elemento materiale del delitto di sequestro di persona e' sufficiente la circostanza che il soggetto passivo non possa agevolmente e con immediatezza superare l'ostacolo posto alla sua liberta' di movimento'. Il marito, infatti, per liberarsi avrebbe dovuto 'calarsi da una finestra, anche se non troppo alta' mettendo 'a rischio la sua personale incolumita''.

Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: