La misura cautelare si giustifica solo se il giudice ritiene che l'indagato quasi certamente tornerà a delinquere

di Lucia Izzo - Per ritenere "attuale" il pericolo "concreto" di reiterazione del reato, non è più sufficiente ipotizzare che la persona sottoposta alle indagini/imputata, presentandosene l'occasione, sicuramente (o con elevato grado di probabilità) continuerà a delinquere e/o a commettere i gravi reati indicati dall'art. 274 c.p.p., lett. c), ma è necessario ipotizzare anche la certezza o comunque l'elevata probabilità che l'occasione del delitto si verificherà.


Lo precisa la III sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 36919/15 (qui sotto allegata) depositata il 14 settembre, originata dal ricorso di un uomo sottoposto alla misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria perché gravemente indiziato del reato di produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope ex art. all'art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309).

Costui avrebbe, infatti, posto in essere varie condotte di cessione di sostanza stupefacente di natura e quantità imprecisate e di acquisto, in concorso con altri e a fine di spaccio, di 20 grammi di cocaina.

Il ricorrente eccepisce la nullità dell'ordinanza in quanto carente dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari che giustificano la misura, nonché l'aver il Tribunale motivato in modo generico circa il pericolo di reiterazione del reato e di inquinamento probatorio.

Gli Ermellini,precisano che l'accusa si alimenta dal significativo apporto di intercettazioni telefoniche nelle quali viene utilizzato un linguaggio giudicato convenzionale volto a dissimulare il vero oggetto delle conversazioni. La gravità indiziaria viene motivata in modo chiaro e preciso tramite il supporto probatorio con un giudizio che ben si confà alla sede cautelare.

Tuttavia, le doglianze circa le "disinvolte e ripetute modalità della condotta" che il Tribunale ha utilizzato per desumere le esigenze cautelari special-preventive, sono effettivamente fondate.

Il riferimento in ordine al "tempo trascorso dalla commissione del reato" (ex art. 292 c.p.p., comma secondo, lettera c) impone al giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacché ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari.

Il maggior tempo trascorso dal fatto, richiede in maniera ancor più concreta e rigorosa di accertare la già necessaria concretezza e specificità degli elementi che innervano il giudizio di persistente sussistenza delle esigenze cautelari (nel caso in esame, special-preventive).

Il giudice avrebbe quindi dovuto a tal fine indicare gli elementi concreti sulla base dei quali affermare che l'imputato avrebbe commesso reati della stessa specie quando se ne fosse verificata l'occasione.

Il giudizio prognostico compiuto dal giudicante, proseguono i magistrati del Palazzaccio, non può più fondarsi sullo schema logico "se si presenta l'occasione sicuramente, o molto probabilmente, la persona sottoposta alle indagini reitererà il delitto", ma dovrà seguire la diversa impostazione secondo la quale "siccome è certo o comunque altamente probabile che si presenterà l'occasione del delitto, altrettanto certamente o comunque con elevato grado di probabilità la persona sottoposta alle indagini/imputata tornerà a delinquere".

La Cassazione accoglie il ricorso annullando l'ordinanza cautelare che impone l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, rinviando al Tribunale affinché adegui la propria decisione ai principi sovra espressi.

Cass., III sez. Penale, sent. 36919/2015

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