Le conseguenze del rifiuto a sottoporsi al test nel giudizio di accertamento giudiziale di paternità

Se il presunto padre rifiuta di sottoporsi al test del DNA, il giudice può trarre argomenti di prova da tale suo comportamento e può considerare dimostrata la domanda di accertamento giudiziale della paternità


Il rifiuto, infatti, può essere valutato ai sensi dell'articolo 116 comma 2 del codice civile con la possibilità che, in un giudizio di riconoscimento della paternità, ciò possa assumere un valore indiziario così elevato da consentire raggiunta la prova della paternità.


Il chiarimento arriva dalla prima sezione civile della Corte di Cassazione (sentenza n. 13885 del 6 luglio 2015) in cui si affronta il caso di una ragazza che giudizialmente aveva ottenuto il riconoscimento di figlia naturale.

Il presunto padre, ricorrendo in Cassazione, lamentava che la Corte di Appello avrebbe erroneamente desunto la prova della reclamata paternità dal solo rifiuto di sottoporsi ad esami ematologici.

Il  rifiuto di sottoporsi al test, secondo il ricorrente, non avrebbe potuto da solo costituire una prova a favore della pretesa della figlia naturale dato che mancavano altri elementi probatori.

Secondo la Cassazione però "nel giudizio promosso per l'accertamento della paternità naturale, non sussistendo un ordine gerarchico delle prove riguardanti l'accertamento giudiziale della paternità e maternità naturale, stante il tenore letterale dell'art. 269, co. 2, c.c., il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche - nella specie opposto dal preteso padre - anche in mancanza di prova dell'esistenza di rapporti sessuali fra le parti, costituisce un comportamento valutabile da parte dei giudice, ex art. 116, co. 2, c.p.c., di così elevato valore indiziario da potere, anche da solo, consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda (cfr. Cass. 386/1999; 8677/2000; 5116/2003; 12971/2012; 11223/2014; 6025/2015)".


Gli ermellini evidenziano piuttosto che, al contrario, non può bastare sul piano probatorio la sola dimostrazione della esistenza di una relazione tra la madre il presunto padre e pertanto, nella fattispecie, anche se tali rapporti fossero stati comprovati la paternità naturale avrebbe dovuto essere fondata su altri elementi di prova.

La Corte territoriale oltretutto - spiegano i Giudici di Piazza Cavour, "ha correttamente ritenuto di poter trarre elementi indiziari e presuntivi, in ordine ai rapporti tra la madre della resistente ed il preteso padre, dalle dichiarazioni dei testi escussi, dalle quali era emersa la sussistenza di una relazione affettiva tra i due e la conseguente nascita della figlia".


Qui di seguito il testo della sentenza.


Cassazione Civile, sentenza 6 luglio 2015 n. 13885
Cassazione Civile, sentenza 6 luglio 2015 n. 13885 (in PDF)

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