Secondo il rapporto dell'Associazione dei Giovani Avvocati, l'"esodo" dei laureati dipende dalle diverse modalità di accesso alla professione

di Marina Crisafi - In Italia si sa l'esame per diventare avvocati è difficile (e ancora non è entrata in vigore la riforma che li renderà ancora più rigorosi). Allora, i giovani laureati in giurisprudenza hanno pensato bene di andarsene all'estero, a caccia di esami più "facili" per poter conseguire l'abilitazione forense.

A denunciarlo è il rapporto sulla condizione della professione di avvocato in Europa, elaborato dall'Aiga (l'Associazione Italiana dei Giovani Avvocati) e presentato oggi a Biella nell'ambito del focus "Dagli avvocati in Europa all'avvocato europeo. L'accesso alla professione forense in Italia e in Europa".

La principale causa di questi "viaggi della speranza", secondo i giovani legali, è proprio la mancanza di uniformità nei percorsi di accesso alla professione.

A differenza di altre categorie di professionisti (come medici, architetti, ecc.) per i quali la normativa comunitaria prevede l'automatico riconoscimento dei titoli a livello europeo, per gli avvocati esistono, infatti, troppe differenze nelle normative dei singoli Stati, sia nel percorso formativo che nell'accesso vero e proprio alla professione. Ciò fa scaturire, appunto, il "fenomeno migratorio" dei laureati in giurisprudenza che vanno a conseguire il titolo di avvocato in altri Paesi dell'Unione, creando così, denuncia l'Aiga, una vera e propria "concorrenza sleale".

In particolare, in Danimarca, dove non bisogna sostenere alcun esame, oppure in Spagna e Romania, dove occorre rispondere soltanto ad un test a risposta multipla e redigere un caso pratico. Tutto nello stesso giorno. Molto più agevole, ovviamente, che sostenere l'esame di Stato vigente in Italia, dove sono previste, invece, tre prove scritte e una orale da svolgersi a distanza di un anno.

Non sono da meno neanche le norme sul tirocinio, che variano per durata (dai 18 mesi ai tre anni) e modalità (presso Scuole Forensi, Centri di formazione statale, ecc.) da un Paese all'altro.

Ma una soluzione c'è per invertire questo trend e "battere la concorrenza sleale": secondo il presidente dell'Aiga, Nicoletta Giorgi, basterebbe "aprire la professione alle opportunità del mercato europeo, puntando al riconoscimento dell'avvocato europeo come nuova figura professionale". Occorre in pratica "uniformità per garantire davvero la libera circolazione dei professionisti in Europa" partendo dalle aule universitarie.

Solo così, per l'Aiga, "si potrà invertire la tendenza che in Italia oggi condanna a uno scarso appeal le facoltà di giurisprudenza, che nel 2014 hanno subito un calo del 22% delle immatricolazioni; un dato che riflette la sfiducia verso una professione in cui il 13,2% dei laureati, dopo 5 anni dalla chiusura del percorso di studi, sono disoccupati e nel 2013 il reddito medio è diminuito del 3,1%".

Proposte che certamente troveranno posto nella "Carta di Biella": obiettivo del focus odierno e manifesto di riforme che prenderà le mosse proprio dai risultati del report. 


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