Nuovo importante arresto della Corte di Cassazione sui risarcimenti per contagi da sangue infetto

Nuovo importante arresto della Corte di Cassazione sui risarcimenti per contagi da sangue infetto, che conferma il diritto dei danneggiati a vedere ristorati i danni causati dalle trasfusioni e la responsabilità del Ministero della Salute per aver omesso colpevolmente di vigilare sull'attività di raccolta, di distribuzione e somministrazione del sangue e degli emoderivati.

La terza sezione civile della S.C., con sentenza depositata il 22 gennaio scorso, ha riconosciuto infatti il diritto di un uomo siciliano, il quale aveva contratto il virus dell'epatite C a causa di una trasfusione di sangue infetto nel 1986 a veder risarciti dal Ministero 500mila euro per i danni biologici subiti e 50mila euro a titolo di danni morali.

Una battaglia legale vinta dopo 7 anni per l'agrigentino che nel 2008 adiva il tribunale di Palermo e vedeva accogliere le proprie istanze, successivamente negate in appello, sull'assunto che l'azione risarcitoria, esercitata dopo oltre cinque anni dalla scoperta di aver contratto il virus, doveva ritenersi prescritta.

Per la Corte d'Appello di Palermo, infatti, avendo il danneggiato scoperto di essere positivo al virus dell'epatite C nel 1998, era in condizioni di agire, e avrebbe dovuto agire, per il risarcimento entro i successivi 5 anni e non già a seguito dell'aggravamento delle sue condizioni di salute.

Ma l'uomo, tramite i suoi difensori, sosteneva invece che il termine prescrizionale in considerazione della natura della patologia da contagio, in grado di manifestarsi anche molti anni dopo dal momento della sua contrazione, doveva farsi decorrere da quando il virus si era manifestato, producendo peraltro gravi danni al fegato.

La Cassazione è dello stesso avviso. Condividendo le argomentazioni della difesa e annullando la sentenza del giudice d'appello, la S.C. ha affermato infatti che il termine di cinque anni per l'esercizio dell'azione di risarcimento in materia di contagio da sangue infetto non può decorrere dalla scoperta della positività al virus dell'epatite C, bensì dal manifestarsi della malattia epatica, con segni evidenti e percepibili dal danneggiato, il quale solo in quel momento ha avuto concreta consapevolezza del danno. 


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