L'aver compiuto atti contrari alla pubblica decenza non configura reato se manca l'elemento soggettivo.
di Luigi Del Giudice - Secondo consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, sono atti contrari alla pubblica decenza tutti quelli che in spregio ai criteri di convivenza e di decoro che debbono essere osservati nei rapporti tra i consociati, provocano in questi ultimi disgusto o disapprovazione come l'urinare in luogo pubblico.

Tuttavia non costituisce reato ex articolo 726 del codice penale, l'aver compiuto atti contrari alla pubblica decenza, consistenti nell'avere orinato vicino all'ingresso della abitazione, quando manca l'elemento soggettivo (v. gli elementi del reato). E' quanto precisato dalla Corte di cassazione, con la sentenza del 17 novembre 2014, n. 47244.

Il giudice di pace in primo grado aveva assolto l'imputato valorizzando una testimonianza in base alla quale sarebbero emersi tali da escludere il reato.

Il caso finirà dunque in cassazione sul ricorso del procuratore generale della corte di appello il quale denunciava l'illogicità della decisione del primo giudice dato che i fatti sarebbero stati ammessi nella loro materialità.

Secondo il procuratore generale la sentenza di 1° sarebbe stata anche contraddittoria perché avrebbe dapprima avvalorato una soluzione assolutoria per assenza dell'elemento soggettivo per poi decidere con la formula del non aver commesso il fatto.

La corte di cassazione ha respinto il ricorso richiamando alcuni precedenti giurisprudenziali in base ai quali "sono atti contrari alla pubblica decenza tutti quelli che in spregio ai criteri di convivenza e di decoro che debbono essere osservati nei rapporti tra i consociati, provocano in questi ultimi disgusto o disapprovazione come l'urinare in luogo pubblico. Né la norma dell'art. 726 cod. pen., esige che l'atto abbia effettivamente offeso in qualcuno la pubblica decenza e neppure che sia stato percepito da alcuno, quando si sia verificata la condizione di luogo, cioè la possibilità che qualcuno potesse percepire l'atto"

La corte nel testo della sentenza (qui sotto allegato) spiega anche quali sono le differenze tra atti osceni e atti contrari alla pubblica decenza.

Fatte queste precisazioni i giudici di piazza Cavour osservano che se è vero che la sentenza di primo grado contiene delle imprecisioni terminologiche, "l'apparente antinomia fra motivazione e dispositivo della sentenza è risolvibile ritenendo che la formula utilizzata nel dispositivo" secondo cui quale l'imputato deve essere "assolto dal reato di cui all'art. 726 cod. pen. 'perché non lo ha commesso', va intesa non, certamente, nel senso che il reato è stato commesso da altri, ma nel senso che la condotta del C. non integra gli estremi del reato, cioè, essa non costituisce reato, così come riportato in sentenza". 

Il riferimento che il primo giudice ha fatto alle modalità in cui si sono verificati fatti, conclude la Corte, deve far ritenere che il giudice di pace abbia ritenuto carente l'elemento soggettivo del reato, anche con riferimento al profilo della sola colpa.

Dott. Luigi Del Giudice

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