Brutte notizie per i ritardatari cronici che cercavano di rimettersi in carreggiata fermandosi a recuperare. Da oggi in poi il ritardo si "paga" con la diminuzione della retribuzione in proporzione alla prestazione lavorativa non espletata, a nulla valendo il comportamento di trattenersi oltre l'orario di servizio per recuperare. Lo ha deciso la Corte di Cassazione.

Con sentenza n. 18462 depositata il 29 agosto scorso, la sezione lavoro della Suprema Corte ha, infatti, confermato la legittimità della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio inflitta a un lavoratore di Poste Italiane, per il mancato rispetto dell'orario di lavoro (nella specie, il dipendente si presentava mezz'ora dopo l'orario di inizio della prestazione), nonché la condanna dello stesso alla restituzione della somma percepita per l'orario non osservato.

Per la Cassazione, come correttamente osservato dalla Corte territoriale, "l'utilizzabilità della prestazione lavorativa in un determinato orario consegue all'organizzazione produttiva del datore di lavoro e non è conseguentemente modificabile unilateralmente da parte del lavoratore. Per cui correttamente il datore di lavoro sottrae dalla retribuzione l'ammontare relativo alla prestazione non effettuata nell'orario prestabilito a nulla rilevando lo svolgimento della prestazione al di fuori dell'orario di lavoro stesso".

L'osservanza dell'orario stabilito, ha ribadito la S.C. rigettando il ricorso, "costituisce obbligo del lavoratore disciplinarmente sanzionabile", per cui la mancata effettuazione della prestazione "rompe il rapporto sinallagmatico che distingue il rapporto di lavoro", risolvendosi in una evidente illiceità sul piano civilistico.


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