di Angelo Casella - 

1. E' già stato detto e da più parti ribadito che l'IMU è un'imposta che contrasta con l'art. 53 della Costituzione, secondo cui tutte le imposte debbono essere "progressive" e  proporzionate alla "capacità contributiva" del cittadino contribuente.

Di fatto però l'IMU non è in alcun modo progressiva, in quanto considera e colpisce dei singoli beni immobili, applicando percentuali fisse prestabilite che - come tali - non tengono conto della dimensione, caso per caso, dello specifico coacervo dei redditi individuali. Parimenti, essa non è correlata alla capacità contributiva, bensì è rapportata ad un bene che può anche non produrre reddito.

In altri termini, essa non viene computata - come dispone la Costituzione - in base al flusso di reddito ("capacità contributiva") di cui dispone il contribuente, bensì al valore (del tutto ipotetico perché stabilito sulla base di indicatori teorici come i valori catastali) di un immobile che, in molti casi, non produce alcun flusso di reddito in quanto direttamente abitato dallo stesso contribuente.

La vecchia ed ormai desueta teoria secondo cui usufruire di un appartamento equivale a godere di un reddito è fuori dalla realtà perché questo reddito è solo teorico ed è il frutto di un passato risparmio (sul quale sono già state pagate le imposte). Tale risparmio inoltre serve a compensare una spesa potenziale (la locazione): in sostanza è la fruizione dilazionata di un reddito non speso. In campo fiscale, inoltre, i redditi figurativi non dovrebbero trovare spazio.

Ciò che maggiormente sconcerta è l'indifferenza che il legislatore mostra nei confronti di un dettato costituzionale, che dovrebbe costituire invece un limite invalicabile. Come può il mondo politico invocare un maggiore "senso dello Stato" quando sono proprio i politici ad averlo dimenticato portando l'Italia, dopo anni di sprechi e di corruzione, a livelli di tassazione insostenibili?


2. Anche sul piano pratico, si tratta di una imposta "anomala".

Quando l'immobile non produce flusso di reddito in quanto abitato dal proprietario, non esiste un reddito sul quale effettuare prelievi a titolo di contributo fiscale.

Questa imposta deve quindi essere pagata con altri redditi i quali, in tal modo, verranno assoggettati a un ulteriore prelievo fiscale, determinando così una distorsione nel meccanismo di formazione del risparmio e della ricchezza nazionale.

Se poi, nel caso tutt'altro che raro, questi redditi ulteriori non ci sono, l'imposta si traduce di fatto in un prelievo del bene stesso.

Esito, questo, che è agli antipodi del concetto stesso di prelievo fiscale, che è fondato sul criterio della contribuzione del cittadino allo Stato per i servizi pubblici forniti, mediante versamento di una quota del suo proprio flusso di reddito.

3. Nel caso dell'IMU ciò che rischia di diventare un "prelievo del bene" riguarda la casa che è sì un bene, ma anche un diritto.

L'imposta nei suoi potenziali esiti applicativi, viene dunque a minare uno dei diritti fondamentali dell'uomo, previsto e tutelato dalla Convenzione di Roma del 4.11.50 sui Diritti Umani (e che fa parte, a seguito della ratifica, dell'ordinamento giuridico interno).

Nella Convenzione è infatti specificato che il diritto alla casa è ineliminabile (direttamente o indirettamente) da parte dello Stato.

Risulta invece concreto il rischio che molti, non potendosi permettere di pagare l'imposta dovranno vendere la propria casa con la conseguenza che l'imposizione fiscale si traduce in un vero e proprio esproprio.

Insomma: per applicare l'imposta, bisognerebbe preventivamente calcolare, contribuente per contribuente (e non immobile per immobile) se il reddito complessivo del soggetto colpito è sufficiente - applicando l'IMU - a consentirgli di vivere più o meno dignitosamente.

Allora, nel quadro fiscale complessivo, l'IMU si rivela null'altro che una maggiorazione delle aliquote fiscali esistenti.


4. Anche nelle sue origini l'IMU rivela elementi di illegittimità.

Il Decreto Ministeriale 27.9.91, (parliamo dell'ICI, la "madre" dell'IMU) nel porre alla base della revisione delle tariffe d'estimo il "valore ordinario di mercato ordinariamente ritraibile", ha violato la regola generale stabilita dal Dpr n. 1142/1949, alterando l'attuale sistema impositivo, poiché ha trasformato le imposte sugli immobili fondandole su base patrimoniale, anziché reddituale (tutte le norme in materia fanno riferimento al reddito locativo).


5. C'è da sottolineare, inoltre, che la descritta inversione dei criteri di determinazione delle tariffe d'estimo è illegittima in quanto venne operata con un semplice atto amministrativo, che contrasta con il Dpr. 1142 citato. Per il principio costituzionale della gerarchia delle fonti del Diritto, un atto ministeriale non può derogare a quanto previsto da atti aventi forza di legge.


6. Ancorare la pretesa impositiva, quantificandola in base ad un valore astratto, come il valore "di mercato" e "costruire" quindi un reddito figurativo, senza alcuna valutazione e considerazione delle effettive potenzialità reddituali del cespite, configura a tutti gli effetti violazione del principio della capacità contributiva che, nella stessa giurisprudenza della Corte costituzionale, si è andata identificando come criterio essenziale e centrale di controllo della congruità delle leggi ai principi ed ai valori espressi dalla Suprema Corte.


7. L'imposta in discorso viola, a mio avviso, anche il principio costituzionale dell'eguaglianza e della ragionevolezza (art.3: "tutti i cittadini sono...eguali davanti alla legge") in ragione del fatto che i proprietari di immobili vengono tassati di più rispetto ad altre categorie di contribuenti che tutt'ora possiedono - legittimamente - redditi considerati esenti. L'art.53 della Costituzione, già citato, non è che la proiezione, nel campo dei tributi, del principio di eguaglianza enunciato all'art. 3.

8. Come si è già rilevato, il valore dell'immobile (base di riferimento dell'imposta) viene stabilito in modo figurato, dunque non reale il che, in materia fiscale, introduce un pericoloso principio di opinabilità.

9. La legge istitutiva dell'IMU (e, prima di questa, dell'ICI), crea un caso palese di duplicazione d'imposta. Infatti l'immobile, di per sé stesso, viene tassato in funzione di un reddito ipotetico presunto, che gli viene assegnato d'autorità, con esiti talvolta clamorosamente iniqui allorché ad interi stabili nei pregiatissimi centri storici viene attribuito un valore inferiore a quelli, più recenti, delle lontane periferie.

Tale "reddito", va comunque ad aggiungersi al reddito IRPEF. L'ulteriore imposta, va così a colpire lo stesso bene già tassato (ed ancora, sulla base di un altro reddito presunto!): si verifica così che un identico bene viene sottoposto due volte a tassazione, con due imposte diverse solo nel nome, ma in realtà coincidono nell'oggetto colpito.

10. C'è poi da tenere presente che la cosiddetta "rendita catastale" è strumento che venne creato perché servisse, ai fini fiscali, quale parametro orientativo di riferimento per il calcolo del valore effettivo del bene, in casi specifici (successioni, trasferimenti, ed ogniqualvolta ciò si rendesse necessario).

Il voler ora trasformare tale parametro nell'indicatore del valore effettivo, così da porlo a base di una imposta, rappresenta una incomprensibile distorsione della realtà, per la quale tale valore è - sempre e comunque - determinato dal mercato, con i suoi alti e bassi, con le sue fasi di flessione e di rialzo.

Rincorrendo delle finzioni, si può verificare, come di fatto spesso accade, che il valore di mercato sia inferiore a quello risultante dal calcolo del valore presunto catastale.

In tema di imposte, e questo è un principio fondamentale in una società democratica, si deve adottare come riferimento la realtà concreta, non la finzione.

Il valore effettivo di un immobile è determinato dalle sue caratteristiche, dalla sua posizione nella mappa cittadina, dalla sua esposizione, dalla sua appetibilità, dallo stato di manutenzione, dal livello delle finiture, dalla sua godibilità abitativa, ecc. ecc., in modo del tutto indipendente dalla classificazione catastale, che assegna un valore ipotetico.

11. Va infine evidenziato un altro aspetto dell'imposta che la rende fortemente iniqua.

Quando - come accade di frequente - l'immobile è gravato da un mutuo ipotecario, il titolare non può dirsi "proprietario" in modo "completo" del bene. Né si può sostenere che egli fruisca del reddito "ipotetico" costruito sull'intero valore catastale. Difatti, se egli vendesse il bene, incasserebbe una somma non corrispondente al "valore" catastale, perché verrebbe comunque ridotta dell'importo residuo del mutuo. Ciò significa che il bene è frutto del reddito, non fonte di questo.

Per concludere sono diversi i profili di illegittimità e di iniquità sostanziali di questa imposta e ciò mi induce ad un severo giudizio sulla serietà e ponderatezza di un legislatore sempre poco attento alle esigenze dei cittadini.

Angelo Casella

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