Avv. Alessandro Olivari - olivari.alessandro@gmail.com

Abstract: Nel presente articolo vengono sinteticamente delineati gli sviluppi giurisprudenziali in tema di responsabilità medica con particolare riferimento alle problematiche relative ai criteri di imputazione della responsabilità ed alla ripartizione dell'onere della prova. All'iter evolutivo del riconoscimento della responsabilità contrattuale nei rapporti medico (struttura sanitaria)-paziente sono accostati alcuni recenti arresti della Giurisprudenza di merito relativi alla lettura dell'art. 3 del D.L. 158/12 (c.d. Decreto Balduzzi).

Molteplici e dibattute sono le problematiche connesse alla responsabilità medica tra cui per la particolare importanza pratica rivestono un rilievo privilegiato quelle concernenti la natura di tale responsabilità ed i caratteri della colpa, con particolare riferimento ai criteri di imputazione e del riparto dell'onere della prova.

Per districare gli avanzamenti giurisprudenziali effettuati con i più recenti dicta è opportuno prendere avvio dal dibattito sorto in merito alla qualificazione contrattuale o extracontrattuale della responsabilità del sanitario.

Una prima tesi, risalente, riteneva di poter definire il rapporto medico-paziente come giuridicamente indiretto, scaturente dall'accettazione del paziente all'interno dell'Ente sanitario.

Da tale impostazione, collegata all'assenza di un incontro di proposta e accettazione implicante contratto ai sensi dell'art. 1321 c.c. nel rapporto (indiretto) medico-paziente, discendeva l'estraneità del medico al contratto intervenuto e la natura meramente extracontrattuale dei danni cagionati dall'attività diagnostica e terapeutica del medico.

Ne conseguiva, in capo al paziente che agiva nei confronti del medico, non soltanto l'applicazione dei rigorosi regimi di prescrizione e di onus probandi imposti dalla natura extracontrattuale della responsabilità sollevata, ma anche l'impossibilità, per il paziente, di poter essere risarcito del "non miglioramento", in quanto non rientrante nei comportamenti lesivi ex art. 2043 c.c..

Per superare tali limiti, e per ricondurre la responsabilità del medico entro l'ambito contrattuale, senz'altro più confacente al rapporto reale instaurato, si sono sollevate diverse critiche alla tesi tradizionale:

- da una parte, muovendo dal riconoscimento della diretta responsabilità civile del medico in analogia con quanto previsto per i funzionari pubblici ex art. 28 Cost.

- e, dall'altra, valorizzando il rapporto tra medico ed Ente, costruendo il rapporto medico-paziente sullo schema del contratto a favore di terzo secondo il disposto dell'art. 1411 c.c..

Tali critiche, tuttavia, non sono risultate convincenti: la prima perché l'art. 28 Cost. non specificando di quale responsabilità si tratti, se contrattuale o extracontrattuale, non risolve il problema; la seconda perché il paziente non può essere considerato mero terzo, essendo parte del contratto concluso con la struttura sanitaria.

Il rovesciamento della tesi tradizionale prende avvio sul finire degli anni Novanta, mediante la lettura della responsabilità medica quale responsabilità da "contatto sociale".

In altri termini, si ricostruisce il rapporto medico-paziente come autonomo rapporto contrattuale di fatto, ossia modellato su una fattispecie contrattuale tipica (di cui segue la disciplina) instaurata dal "contatto" socialmente tipico e qualificato, seppure in assenza di una base negoziale.

Il fondamento è individuato nell'art. 1173 c.c. quale clausola generale aperta che consente di inserire tra le fonti delle obbligazioni qualsiasi "atto o fatto" ritenuti idonei a tal fine dall'ordinamento.

Questa tesi, ormai consolidata e che ha trovato il conforto della dottrina, consente di inquadrare la responsabilità medica come species di responsabilità professionale caratterizzata da una prestazione d'opera intellettuale.

Prestazione improntata oltre che al canone di diligenza specifica (ex art. 1176 co.2) anche alle peculiari regole di perizia o c.d. leges artis, da cui discendono, nei confronti del paziente e secondo la più recente giurisprudenza, non soltanto obblighi di protezione ma anche obblighi di prestazione ex bona fide (art. 1375 c.c.).

Inquadrata in ambito contrattuale la responsabilità del medico, simmetricamente alla responsabilità d'assistenza propria della struttura sanitaria scaturente dal contratto c.d. di spedalità, si è tuttavia presentato un ulteriore problema con riguardo ai criteri di imputazione della colpa e della conseguente allocazione dell'onere della prova.

In particolare, seguendo una tradizionale distinzione, giurisprudenza maggioritaria configurava la prestazione del sanitario quale obbligazione di mezzi ritenendo di conseguenza applicabile un regime probatorio differenziale da quello ordinario previsto per le c.d. obbligazioni di risultato.

Sul punto è utile ricordare che

- nelle obbligazioni di mezzi la prestazione dovuta consiste unicamente nel facere richiesto al debitore, improntato ai canoni di diligenza specifica richiesti dalla natura dell'attività, essendo in obligatione il comportamento stesso del debitore, a prescindere ed indipendentemente dal raggiungimento del risultato;

- nelle obbligazioni di risultato, al contrario, è il fine cui il creditore mira ad essere in obligatione, identificandosi la prestazione nella realizzazione di un determinato risultato.

L'importanza di detta distinzione si esplica massimamente nell'individuazione del contenuto dell'obbligo ai fini del giudizio di responsabilità e nella conseguente distribuzione dell'onere della prova.

Quanto al primo profilo si ritengono applicabili due diversi criteri a seconda dell'obbligazione dedotta: nel caso di obbligazione di risultato, bisognerà riferirsi al criterio di imputazione oggettiva ex art. 1218 c.c.; al contrario, nel caso di obbligazione di mezzi il criterio sarà quello dell'imputazione soggettiva richiamato dall'art. 1176 co. 2 c.c..

A tali criteri, di conseguenza, corrisponderebbe un diverso riparto dell'onus probandi: nel primo caso, il creditore potrà limitarsi ad allegare l'inadempimento, sul presupposto del risultato non raggiunto, gravando ex adverso sul debitore la prova della causa non imputabile (e non dell'assenza di colpa, di per sé irrilevante); nel secondo caso, atteso il carattere aleatorio del risultato, graverà sul creditore-paziente la prova dell'inadempimento sub specie di inosservanza delle leges artis.

Tale onere subiva, tuttavia, un temperamento nel caso di interventi c.d. di "routine", nei quali, provata la non complessità dell'intervento, l'esito infausto era presunto come derivante da errore medico, gravando sul medico-debitore l'onere di provare l'esatto adempimento.

Mentre, per gli interventi c.d. complessi, il regime probatorio seguiva i sopra enunciati lineamenti propri dell'obbligazione di mezzi, non intervenendo la presunzione di colpevolezza a seguito di esito negativo, e, pertanto, gravando sul paziente-creditore l'onerosa prova tecnica dell'inadempimento.

La distinzione prospettata, fondata sulla natura complessa o di routine della prestazione sanitaria (comportante un'inversione della prova in presenza di facile intervento in virtù della presunzione di colpa) non ha tuttavia superato la scure delle Sezioni Unite (11.01.2008 n. 577), intervenute sul punto, riconducendo ad omogeneità il regime della prova.

Disattendendo la teoria dell'allocazione differenziata in funzione della complessità dell'intervento e la tradizionale distinzione obbligazioni di mezzo-obbligazioni di risultato, la Suprema Corte ha chiarito che qualora il paziente-creditore reagisca all'inadempimento del medico sarà richiesta, in ogni caso, la duplice prova: della fonte del diritto considerato insoddisfatto (contratto o contatto sociale) e delle conseguenze dell'adempimento (il danno seguito) ivi compreso il nesso di causalità tra inadempimento e danno afferente alla prova del danno, stante quanto disposto ex art. 1223 c.c..

La nuova lettura delle Sezioni Unite, certamente meno gravosa per il paziente sul quale non graverà più l'onere di provare ma soltanto di allegare l'inadempimento (seppur qualificato), trae il suo fondamento da due importanti principi.

Essi sono:

- il principio della vicinanza della prova, ossia della maggior facilità di provare il fatto positivo dell'adempimento che non l'inadempimento (con l'unica eccezione delle obbligazioni negative, in cui il principio si inverte)

- e il principio di persistenza del credito, secondo cui il credito si presume fino alla prova (gravante sul debitore) della sua estinzione.

L'evoluzione giurisprudenziale segnata dalla sentenza delle Sez. Unite del 2008 ha permesso, anche di risolvere una annosa questione circa il nesso eziologico con particolare riguardo ai rapporti tra causalità civile e penale.

Senza alcuna pretesa di poter, in questa sede, ripercorrere il dibattito anche dottrinale, intervenuto sulla questione, è opportuno ricordare le ampie ricadute incidenti sui criteri di accertamento della causalità apportate dalla monumentale sentenza sul caso Franzese.

In particolare, i recenti arresti giurisprudenziali hanno avallato la tesi dell'autonomia della causalità civile, che, seppure incentrata su di un criterio logico-razionale, non più unicamente fondato su leggi statistiche come la sentenza Franzese insegna, si differenzia dalla causalità penale per un importante aspetto: la meno rigorosa certezza relativa all'esistenza del nesso causale, in linea con la logica del "più probabile che non".

Proprio su tale aspetto, merita di essere richiamata una recente sentenza: Cassazione civile sez. III, 12/12/2013, n. 27855 che, facendo propri gli orientamenti espressi dalla pregressa giurisprudenza, torna a dibattere sul tema relativo all'imputabilità della responsabilità in capo al medico operante in una struttura sanitaria ed all'onus probandi sotteso.

Così in Sentenza: "Nelle cause di responsabilità professionale medica, il paziente non può limitarsi ad allegare un inadempimento, quale che esso sia, ma deve dedurre l'esistenza di una inadempienza, per così dire, vestita, astrattamente efficiente, cioè, alla produzione del danno, di talché, solo quando lo sforzo probatorio dell'attore consenta di ritenere dimostrato il contratto (o contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia, con l'allegazione di qualificate inadempienze in tesi idonee a porsi come causa o concausa del danno, scatterà l'onere del convenuto di dimostrare o che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia può essergli mosso, o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento, questo non ha avuto alcuna incidenza eziologica nella produzione del danno".

Motivazione importante, quest'ultima, che si inserisce all'interno del tema della responsabilità medica perimetrando ancor più strettamente i criteri relativi all'onere della prova in subiecta materia.

Precisamente, il ragionamento logicamente stringente della Suprema Corte, muove dalla ratio e dalla prescrizione di cui all'art. 1218 c.c. per stabilire che quando l'attore ometta di allegare qualificate inadempienze idonee a porsi come causa o concausa del danno, il medico chiamato a rispondere dell'evento lesivo non possa essere considerato responsabile dell'evento stesso.

Infine, merita citare l'intervento normativo operato dal D.L. 158/2012, convertito con modificazioni dalla L. 189/2012 (c.d. decreto Balduzzi) che, tuttavia, non ha mutato i presupposti, sopra delineati, della responsabilità civile del professionista sanitario.

Sul punto, infatti, rimane ferma la cornice della responsabilità civile del sanitario disegnata dalle Sezioni Unite (n. 577/2008).

A riprova, è forse opportuno citare alcune sentenze di merito, successive all'entrata in vigore del decreto Balduzzi in riferimento ai criteri di imputazione della responsabilità medica, alla ripartizione dell'onere della prova e all'irretroattività delle disposizioni ivi previste (in ambito civile, per l'ambito penale si rinvia a: Cass. Pen. 16237/2013), con particolare riferimento all'applicazione, in sede di liquidazione del danno, delle Tabelle Milanesi, la cui vocazione nazionale è stata più volte richiamata dalla Corte di Cassazione (Cass. 7 giugno 2011 n. 12480 e Cass. 30 giugno 2011 n. 14402), e non delle tabelle previste agli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni (D.L. 209/05).

Sinteticamente:

- Tribunale di Cremona, Sezione I Civile, 19.09.2013 "nulla è cambiato con riferimento alle strutture sanitarie, i cui profili di responsabilità rimangono quelli delineati da SS.UU. 577/2008, l'art. 3 del decreto citato è invece intervenuto sulla responsabilità dei soggetti esercenti professioni sanitarie, affermando che costoro, in caso si siano attenuti alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, non rispondono penalmente per colpa lieve; in tali casi rimane fermo l'obbligo di cui all'art. 2043 c.c., ma il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo comma";

- Tribunale di Pisa, 27.02.2013: "non trova applicazione la normativa di cui al recente D.L. 13 settembre 2012, n. 158 convertito nella L. n. 189 del 2012 in ragione della irretroattività della normativa, di natura sostanziale"; "in tema di responsabilità professionale del medico chirurgo e della struttura sanitaria, sia essa pubblica o privata, sussistendo un rapporto contrattuale (quand'anche fondato sul solo contatto sociale), in base alla regola dell'art 1218 c.c., il paziente ha l'onere di allegare l'inesattezza dell'adempimento, non la colpa né, tantomeno la gravità di essa, dovendo il difetto di colpa o la non qualificabilità della stessa in termini di gravità (nel caso di cui all'art. 2236 c.c.) essere allegata e provata dal medico".

- Tribunale Arezzo, 14.02.2013: "L'art. 3 comma I della Legge n. 189/12 non impone alcun ripensamento dell'attuale inquadramento contrattuale della responsabilità sanitaria (che non sarebbe neppure funzionale ad una politica di abbattimento dei risarcimenti giacché la responsabilità solidale della struttura nel cui ambito operano i sanitari che verrebbero riassoggettati al regime aquiliano conserverebbe comunque natura contrattuale, in virtù del contratto di ‘spedalità' o ‘assistenza sanitaria' che viene tacitamente concluso con l'accettazione del paziente), ma si limita (nel primo periodo) a determinare un'esimente in ambito penale (i cui contorni risultano ancora tutti da definire), a fare salvo (nel secondo periodo) l'obbligo risarcitorio e a sottolineare (nel terzo periodo) la rilevanza delle linee guida e delle buone pratiche nel concreto accertamento della responsabilità (con portata sostanzialmente ricognitiva degli attuali orientamenti giurisprudenziali).

Avv. Alessandro Olivari Ph.D.

STUDIO LEGALE E DI INGEGNERIA

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