di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, sentenza n. 28564 del 20 Dicembre 2013. Il datore di lavoro non risponde del comportamento del dipendente, per i danni causati a se stesso e a terzi, nel caso in cui provi che la condotta del responsabile sia stata abnorme, cioè totalmente svincolata e sproporzionata al caso concreto: ciò che si è verificato nel caso di specie. Un addetto al trasporto, sceso dal mezzo per liberare la strada da alcune pietre, si accorgeva del movimento del furgone e si lanciava al suo inseguimento, aggrappandosi a uno sportello per poi finire sotto lo stesso veicolo, riportando lesioni gravissime.

Se in primo grado il tribunale aveva ascritto solo per due terzi la responsabilità del sinistro allo stesso lavoratore, ritenendo il suo comportamento sì imprudente ma non abnorme (inadeguato quindi a recidere il nesso causale tra condotta ed evento), tale considerazione è stata variata in sede d'appello: il giudice di merito ha infatti ritenuto imprudente e imprevedibile la condotta del dipendente, tale per cui il datore di lavoro doveva andare esente da qualsiasi tipo di responsabilità, non essendosi nemmeno ravvisate violazioni di sorta relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro. Avverso tale sentenza

ha proposto ricorso l'interessato, lamentando lo scorretto inquadramento giuridico operato dal giudice d'appello. La Suprema Corte, dopo aver enunciato il principio in base al quale occorre ripartire la responsabilità tra i soggetti coinvolti, rileva come le motivazioni del giudice d'appello siano complete e ragionevoli, non suscettibili di alcun tipo di sindacato. Il dipendente, di sua volontà, si è esposto ad un rischio ben maggiore rispetto a quello derivante dalle direttive ricevute: per tale motivo le considerazioni del giudice del merito sono da ritenersi legittime, essendo il fatto lesivo totalmente imputabile al lavoratore.


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