La corrispondenza, in tutte le sue forme (cartacea elettronica, ecc) se indirizzata ad entrambi i coniugi, potrá essere utilizzata in un giudizio da tutti e due senza alcun problema, ma al contrario, se risulta indirizzata ad uno soltanto, l'altro potrebbe incorrere nel reato di cui all'articolo 616 c.p.(violazione, sottrazione o soppressione di corrispondenza). La violazione potrà ricorrere se si acquisisce il contenuto di una corrispondenza chiusa indirizzata ad altri, la sottrazione ricorrerà se si sottrae o distrae, una corrispondenza chiusa o aperta (qui non ha importanza per il delinearsi della fattispecie) o altrimenti ,in tutto o in parte , si provvede a distruggerla o sopprimerla (soppressione).

Il secondo comma dello stesso 616 c.p. dispone che se il colpevole, senza giusta causa, rivela, in tutto o in parte, il contenuto della corrispondenza, e' punito, con la reclusione fino a tre anni. La dottrina dibatte se possa scriminare, il diritto della parte a far valere il proprio diritto in un giudizio civile, al fine della di dimostrazione dinnanzi al giudicante dell'illegittimitá del comportamento altrui.

Tutto ciò posto, le considerazioni illustrate si estendono "de plano" alla corrispondenza elettronica (mails), ed alla messaggistica "on line" del tipo wathsap, skype, ecc. ma anche ai sociali network , facebook,twitter ecc.
Gli strumenti informatici protetti da password , mediante i quali i consociati interagiscono tra loro, in modo non generalizzato, sono atti ad essere violati, quindi possono formare oggetto del reato ex art. 616 c.p.
Si pone all'attenzione poi un altro problema, cioè la riconducibilitá di siffatte forme comunicative al presunto autore ai fini della loro utilizzabilitá , specialmente quando non risultano presenti firme digitali, poichè colui al quale le stesse siano attribuite, potrebbe eccepire che altri (non meglio identificati) abbiano forzato le credenziali ed usato illecitamente il profilo, e questo a prescindere dal fatto, che il giudice, nella sua discrezionalitá possa "liberamente " convincersi che ciò non sia vero.

Il quesito sorge spontaneo, alla luce delle suesposte considerazioni, appaiono utilizzabili nel processo civile prove acquisite illecitamente, per mezzo di un fatto-reato in violazione delle norme a tutela della privacy?
Pare proprio di si per il Tribunale di Torino, che in tal senso ne ha disposto con ordinanza l'acquisizione, nonostante tali strumenti, a forte connotazione tecnologica, non siano da nessuna norma equiparabili alle c.d. "prove scritte".
Nell'ordinanza, integralmente richiamata dalla sentenza dell'8/5/2013, il Tribunale sabaudo, ha rilevato che la corrispondenza non era stata disconosciuta ai sensi degli articoli 2712 e ss. c.c., sicché le riproduzioni documentali della corrispondenza elettronica intercorsa non erano state "contestate in sé, quanto alla genuinità o autenticità, ma solo nella loro utilizzabilità per le conseguenze penali connesse". Sotto tale ultimo profilo, inoltre, il Tribunale ha osservato che il c.d. codice della privacy

(D. Lgs 30 giugno 2003 n. 196) a) esclude la richiesta di consenso nell' ipotesi di diffusione necessaria "per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria" purché i dati siano trattati per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento (art. 24 lett. f); b) esclude parimenti l'informativa preventiva nelle medesime ipotesi (art. 13); c) riserva alla disciplina processuale in materia civile e penale la questione della validità, efficacia e utilizzabilità di tali atti (art. 160 comma 6); d) il contemperamento tra il diritto alla riservatezza e il diritto di difesa deve dunque essere rimesso in assenza di una precisa norma processuale civile, alla valutazione del singolo giudice nel caso concreto (tra le pronunce più recenti citate dal Tribunale: Cass. 5.8.2010, n. 18279 e Cass. 8.2.2011, n. 3034).

Nella fattispecie all'attenzione del giudicante, un coniuge tradito, si era intrufolato ed aveva scovato illecitamente ( forzando le credenziali) mails, conversazioni in chat ed sms del partner, riuscendone pertanto a provarne l'infedeltà che giá sospettava esserci, tale corredo probatorio, aveva successivamente fondato l'addebito nella separazione. Tale decisione del giudice di prime cure, a voler essere buoni, lascia perplessa chi scrive, non si può offrir cittadinanza ad un illecito penale seppur in altra branca del diritto, poichè sempre di "diritto" e di "diritti" trattasi.
La circostanza che le prove acquisite in violazione della legge sulla privacy, fossero inutilizzabili, circoscriveva e circoscrive in qualche modo le incursioni non autorizzate nella sfera privata altrui, ora che il Tribunale dichiara "expressis verbis" che nessuna norma di diritto positivo all'interno del codice di rito, vieta l'acquisizione di prove frutto di un reato , ci sará da temere per la nostra giá "flebile" privacy in futuro , poichè è come se avesse dichiarato, illecita l'azione criminosa e lecito il suo prodotto.

Avv. Gilda Summaria - Altri articoli di Gilda Summaria
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