Ecco cosa ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza n. 4083/2013
Inutile rivendicare la proprietà del sottotetto se nell'atto di compravendita dell'immobile tale vano non risulta menzionato come proprietà esclusiva ma, diversamente, è predisposto ed idoneo per essere utilizzato come vano autonomo destinato all'esercizio di un servizio condominiale.
Sulla base di tali motivazioni, la Corte di Cassazione (sent. n. 4083/13) ha respinto il ricorso presentato da alcuni condomini (che rivendicavano la titolarità del sottotetto quale pertinenza della loro abitazione) convenuti in giudizio, dal condominio, per sentir accertare che il sottotetto dell'edificio condominiale era in proprietà comune di tutti i condomini e, conseguentemente, condannare i predetti convenuti al ripristino del sottotetto sovrastante il loro appartamento, sito all'ultimo piano dell'edificio, con ordine di demolizione delle opere realizzate al suo interno senza autorizzazione condominiale.

Il Tribunale adito, accoglieva integralmente la domanda attorea e, a sostegno dell'adottata decisione, la Corte di merito rilevava l'infondatezza dell'appello sul presupposto che - in base alle risultanze del titolo di provenienza della proprietà degli appellanti (nel quale mancava l'inclusione del vano sottotetto nell'oggetto della compravendita dell'appartamento) e in virtù delle dimensioni, dell'utilizzo e della destinazione del vano - il sottotetto, lungi dal conformarsi come una semplice camera d'aria posta a servizio degli alloggi sottostanti, costituiva un vero e proprio piano autonomo, distinto dalle unità immobiliari collocate al quinto piano.

Ed invero, la presenza al suo interno di impianti comuni (come il vano macchina dell'ascensore condominiale) realizzati anteriormente all'intervento dei ricorrenti, l'accesso autonomo al sottotetto direttamente dal vano scala condominiale, la circostanza che gli stessi appellanti avessero utilizzato il bene solo parzialmente, autolimitando l'estensione del preteso diritto ad una parte del sottotetto, implicitamente riconoscendo l'esistenza dei diritti di terzi sul bene medesimo, non hanno posto alcun dubbio sulla natura "condominiale" di tale vano.

I giudici di legittimità, infatti, nel giudicare come ben argomentate le deduzione della corte, hanno respinto il ricorso ribadendo un principio di diritto, da quest'ultima richiamato, per cui "Il sottotetto di un edificio può considerarsi pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano solo quando assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l'appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall'umidità, tramite la creazione di una camera d'aria e non anche quando abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l'utilizzazione come vano autonomo".

"In tale ultima ipotesi, l'appartenenza del bene va determinata in base al titolo, in mancanza o nel silenzio del quale, non essendo il sottotetto compreso nel novero delle parti comuni dell'edificio essenziali per la sua esistenza o necessarie all'uso comune, la presunzione di comunione ex art. 1117 c.c., n. 1 è applicabile solo nel caso in cui il vano, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, risulti oggettivamente destinato, sia pure in via potenziale, all'uso comune oppure all'esercizio di un servizio di interesse condominiale".
E' bene soffermarci sull'ultimo aspetto, ovvero sulla circostanza che il sottotetto non è annoverato tra i beni elencati nell'art. 1117 c.c. che si presumono "comuni", nel qual caso vale la "presunzione" di "pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano", salvo che si tratti di locale utilizzabile come vano autonomo nel qual caso, però, la "condominialità" va provata, non essendo presunta.

Nel testo di riforma della legge sul condominio (L. n. 220/2012), che ha novellato l'art. 1117 ed entrerà in vigore il 18 giugno prossimo, ha introdotto al punto n. 2, tra i "locali per i servizi comuni", anche i sottotetti "destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune".

In questo caso, invece, la "condominialità" è presunta.
Testo Cassazione Civile, Sez. VI – 2 (Ord.), 19.02.2013, n. 4083:
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