Particolarmente interessante e di non facile interpretazione risulta la sentenza della Cassazione 23430 del 19-12-2012 della Cassazione in tema di revocatoria fallimentare.

L'iter giuridico che ha condotto alla predetta pronuncia è iniziato nel lontano 1998, quando una società ha presentato al Tribunale di Milano la richiesta dichiarazione di inefficacia di un contratto di factoring, stipulato anni addietro, che obbligava la società in questione a restituire una somma cospicua per aver operato delle cessioni.

La società negava sostanzialmente la scientia decoctionis, ovvero la conoscenza dello stato di insolvenza, condicio sine qua non per riconoscere la validità e la conseguente efficacia ai fini giuridici del contratto di factoring. Una simile questione ci induce a confrontarci con un argomento decisamente spinoso del panorama giuridico, in quanto la prova della cosiddetta scientia decoctionis può considerarsi acquisita a tutti gli effetti solo quando ne sia possibile dimostrare l'esistenza de facto, esaminando, con estrema attenzione ai dettagli , anche le effettive condizioni economiche e culturali con cui la società si sia trovata a interagire. In altre parole devono sussistere oggettive circostanze che inducano a postulare la scientia decoctionis da parte del factor cessionario.

In ordine al caso specifico esaminato, non è possibile stabilire che la conoscenza dello stato di insolvenza si possa ricondurre all'esistenza di accordi in moratoria tra la parte cedente e vari istituti bancari, in quanto non sussiste la prova di pubblicità dei predetti accordi. La sentenza della Cassazione re ipsa ha stabilito , quindi, che il ricorso della società deve essere accolto, perché sussiste il c.d. vizio di motivazione nell'attribuire efficacia probatoria alla presunta esistenza di accordi non conoscibili da terzi.
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