Se un detenuto cade in depressione non per questo la sua condizione di salute può essere considerata grave al punto da impedire che le cure possano essere eseguite in carcere. Per questo la Corte di Cassazione ha dato ragione al pubblico ministero di Palermo che aveva impugnato una misura con cui venivano disposti gli arresti domiciliari in favore di un indagato per associazione mafiosa. Il riesame aveva accordato i domiciliari sulla base del fatto che l'indagato soffrisse di una forte depressione, cosa che aveva fatto anche temere il rischio di un suicidio. contro il provvedimento il pubblico ministero si è rivolto alla suprema corte spiegando che quella sindrome poteva essere curata anche all'interno del carcere. La corte di cassazione (seconda sezione penale, sentenza n. 10963/2012) ha accolto il ricorso del pm evidenziando che "le condizioni di salute particolarmente gravi che, di norma precludono la custodia in carcere, non devono identificarsi con quelle patologie che ancorche' marcate, sono, per cosi' dire, connaturali alla privazione della liberta' personale, quali la sindrome ansioso depressiva, bensi' con quelle patologie che, a prescindere dalla posizione del paziente, assumono una propria autonomia e sono connotate oltre che dalla gravita' dalla insuscettibilita' di essere risolte o curate in costanza di detenzione, per non essere praticabili in normali interventi terapeutici in ambiente carcerario, intendendosi per tale anche quello costituito dai centri clinici dell'amministrazione penitenziaria".

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