"L'obbligo di mera disponibilità non seguito dal godimento del riposo compensativo è situazione diversa dalla prestazione di lavoro resa nel giorno destinato al riposo, e non vi è alcuna ragione per ritenere che esso sia di per sé idoneo ad incidere sul tessuto psicofisico del lavoratore così da configurare un danno in re ipsa". E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione che, con sentenza n. 18310 del 7 settembre 2011, ha rigettato il ricorso di un dipende di un'Azienda Sanitaria, avverso la sentenza
della Corte di Appello che, confermando la decisione del giudice di primo grado, aveva rigettato la domanda del dipendente, volta ad ottenere il risarcimento del danno derivato dall'usura psicofisica subita per le giornate lavorative effettuate nei giorni destinati a riposo compensativo a seguito di turno di reperibilità prestato in giorno festivo. In particolare la Suprema Corte ha affermato che "è certo possibile che il disagio patito per la reperibilità in giorno festivo non seguita da effettiva attività lavorativa assuma dimensioni tali da incidere sul piano psicofisico del lavoratore che non possa godere del riposo compensativo, trasformandosi in danno da usura psicofisica ma a tal fine non è sufficiente la mera deduzione di non aver potuto godere appieno il giorno festivo per il connesso impegno di reperibilità, essendo necessario allegare e provare il danno che tale reperibilità ha prodotto. Né è il datore di lavoro a dover dimostrare, diversamente che nel caso di reperibilità attiva, l'idoneità dei benefici contrattuali a fornire l'integrale ristoro per il mancato recupero delle energie psicofisiche del lavoratore, essendo invece quest'ultimo a dover provare che la mera reperibilità passiva non seguita da riposo compensativo sia stata produttiva di un danno".

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