La Corte di Cassazione, con sentenza n. 2971 del 7 febbraio 2011, si è pronunciata in merito al caso di un dipendente licenziato per superamento del periodo di comporto, giustificato dalla circostanza che il lavoratore aveva inviato certificati medici che attestavano il ricollegarsi al pregresso infortunio della lombosciatalgia, per la quale aveva continuato ad assentarsi oltre i 180 giorni previsti dal ccnl di riferimento sia per malattia comune che per infortunio, non cumulabili tra loro. In primo grado il Tribunale aveva respinto la domanda del lavoratore intesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento
mentre la Corte d'Appello, dopo aver disposto ctu medico legale sull'eziologia della lombosciatalgia - che risultava ascrivibile a comuni cause -, dichiarava l'illegittimità del licenziamento ritenendo però la società datrice di lavoro esente da colpa, in base ai certificati fatti pervenire dal lavoratore e contenendo, di conseguenza, la misura del risarcimento nella misura minima di legge. Avverso tale decisione ricorre in Cassazione il dipendente in merito alle questioni di commisurazione del danno e della valutazione della responsabilità del datore di lavoro. La Suprema Corte osserva che "quella del recesso del datore di lavoro per superamento, da parte del lavoratore, del periodo di comporto
, costituisce una ipotesi del tutto peculiare di cessazione del rapporto di lavoro (…) come tale è stata regolata in una norma speciale, quella dell'art. 2110 c.c., comma 2, distinta da quelle disciplinanti l'estinzione del rapporto di lavoro". "Alla luce di tali premesse deve, quindi, ritenersi che è solo la circostanza dell'oggettivo superamento del periodo massimo previsto a determinare la legittimità del recesso, laddove l'oggettiva carenza di tale presupposto è, al contrario, significativa per escludere la validità del recesso". Nel caso di specie, precisano gli Ermellini, essendo stato escluso che il periodo di comporto
sia stato superato - avendo la ctu medico legale stabilito che il periodo di malattia ulteriore non fosse imputabile all'infortunio precedentemente subito dal lavoratore -, non poteva la corte territoriale discostarsi da tale dato oggettivamente acquisito per limitare, evocando la buona fede del datore di lavoro, la misura del risarcimento del danno conseguente alla ritenuta illeggittimità del licenziamento, spettando invece al dipendente la piena tutela prevista dalla legge.

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