Con la sentenza n. 12902, la Corte di cassazione ha stabilito che l'indennizzo dovuto come risarcimento per l'ingiusta detenzione no può essere superiore a quanto richiesto dalla parte lesa. La quarta sezione penale ha in sostanza stabilito il principio per cui il giudice non può andare oltre le allegazioni delle parti. Secondo la ricostruzione della vicenda, un uomo era stato ingiustamente detenuto per quasi un anno, per aver fatto parte di un'associazione a delinquere (ex art.416-bis). Assolto per non aver commesso il fatto, il soggetto chiedeva l'indennizzo
per l'ingiusta detenzione. In secondo grado, la sentenza della Corte d'Appello, a fronte della richiesta di 25.000 euro di indennizzo per ingiusta detenzione, aveva accordato un indennizzo di 60.000 euro e cioè di una cifra assai superiore rispetto alla richiesta della parte. Su ricorso dal Ministero delle Finanze, che aveva proprio eccepito il vizio di ultra petizione, in violazione del principio contenuto nell'art.112 del c.p.c., la Corte ha stabilito che "la natura civilistica della procedura per la riparazione della ingiusta detenzione comporta che la condanna del Ministero dell'Economia al pagamento dell'indennizzo
consegue necessariamente alla proposizione della domanda a parte dell'interessato". Inoltre - continua la Corte "la domanda, anche con riferimento al quantum debeatur, determina il limite del potere conferito alla Corte di Appello e, poiché al procedura richiede necessariamente l'instaurazione del contraddittorio, determina anche il limite di esposizione del Ministero convenuto (…). La Decisione del convenuto di costituirsi e opporsi alla domanda anche o soltanto per ragioni attinenti alla quantificazione dell'indennizzo, ovvero di non opporsi, considerando congrua la richiesta, è una decisione necessariamente legata al rispetto del principio tra il chiesto e il pronunciato".

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