Con la sentenza n.8388/09, le Sezioni Unite penali, in materia di misure cautelari, hanno stabilito che permane l'interesse dell'imputato a impugnare il provvedimento cautelare per l'eventuale esercizio del diritto all'equa riparazione per ingiusta detenzione, nonostante la sopravvenuta cessazione delle esigenze cautelari e anche quando "le censure contro il provvedimento attengono all'asserita mancanza di una valida domanda cautelare e non invece alle condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p." La Suprema Corte di Cassazione ha inoltre stabilito che, in riferimento alla presunta nullità dell'ordinanza coercitiva "per la pretesa mancanza nella domanda cautelare di difetto di assenso o, come nella specie, di espresso dissenso del Procuratore della Repubblica" l'assenso scritto del procuratore della Repubblica non si debba considerare "come condizione di ammissibilità della richiesta di misure cautelari personali presentata dal magistrato dell'ufficio del pubblico ministero assegnatario del procedimento, né di validità della conseguente ordinanza cautelare del giudice". "Ritiene, infatti, il Collegio - si legge nella sentenza
- che la norma dell'art.3 d.lgs n.106/2006 (in materia di riorganizzazione dell'ufficio del pubblico ministero), riguardi esclusivamente l'organizzazione "interna" dell'ufficio di Procura ed abbia valenza meramente ordinamentale e disciplinare" contrariamente a quanto veniva rivendicato dai difensori del ricorrente che considerava "l'assenso scritto del Procuratore come atto necessariamente preventivo e dal contenuto autorizzatorio". Concludendo, la Suprema Corte ha inoltre aggiunto che "non può considerarsi priva di significato la circostanza che il Governo
si appresti a realizzare un'opposta soluzione normativa della questione controversa". In un disegno di legge il governo ha previsto, "a pena di inammissibilità, l'assenso scritto del procuratore della Repubblica come condizione di ammissibilità della richiesta cautelare del Pubblico Ministero". Questa scelta, a giudizio della Suprema Corte, "sembra pertanto rafforzare - argomentandosi a contrario - la tesi dell'ordinaria impermeabilità del processo penale alle regole di ordinamento giudiziario inerenti all'organizzazione interna degli uffici del pubblico ministero, principio più volte evidenziato in altre sentenze (Cass., Sez. Un., 30/10/2003 n. 45276, P.G. in proc. Andreotti, rv. 226089).

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