La Cassazione ha deciso che la diffamazione su Facebook è aggravata dalla pubblicità e pertanto la pena applicabile è il carcere

di Marina Crisafi - Chi diffama su Facebook rischia fino a tre anni di carcere. È questo l'atteso verdetto della Cassazione sulla "nota" e burrascosa questione nata in seguito ad un divorzio tra due coniugi per alcuni post offensivi pubblicati sul social network (riportata anche sul sito nazionale dell'Ordine dei giornalisti).

La pronuncia della prima sezione penale, attesa per il 28 aprile scorso e arrivata invece in questi giorni, ha dato ragione all'ex moglie, affermando che a decidere sulla diffamazione su Facebook è il tribunale in quanto ipotesi di reato da considerarsi aggravata.

La vicenda risale al 2010, quando la donna aveva sporto querela nei confronti del marito per la pubblicazione su Facebook di contenuti diffamatori nei suoi riguardi.

Il giudice di pace, chiamato a dirimere la questione, aveva dichiarato la propria incompetenza, ritenendo che la diffamazione sul social fosse aggravata, e trasmesso gli atti al tribunale.

Ma l'avvocato dell'uomo sollevava il conflitto di competenza che veniva accolto dal giudice romano, per il quale Fb non poteva essere paragonato ad un quotidiano o ad un blog online, da tutti visionabili sulla rete, per cui la competenza era del giudice di pace.

Dopo i vari rimpalli, la questione finiva così sul tavolo della Cassazione.

Chiamata a pronunciarsi, dopo una lunga camera di consiglio, piazza Cavour ha quindi deciso che in caso di diffamazione

su Facebook la competenza spetta al Tribunale e non al giudice di pace, in quanto la stessa è da ritenersi "aggravata dal mezzo della pubblicità e pertanto la pena da applicare può essere il carcere".

Chi offende sui social, dunque, d'ora in poi rischia la reclusione da 6 mesi a 3 anni.

Per capire il percorso logico seguito dagli Ermellini, però, bisognerà attendere le motivazioni della sentenza non ancora rese note.


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