La valutazione degli interventi

Non è chiaro quanto la diffusione dei premi di risultato abbia ricevuto impulso dal sostegno legislativo; infatti la crescita della retribuzione variabile avviene all’indomani del protocollo del ’93, al di fuori degli incentivi, più da ricondurre al mutato clima delle relazioni industriali in direzione maggiormente partecipativa.

Nell’accordo del 22 Gennaio 2009 le parti sociali hanno ribadito la richiesta al governo di sostenere il decentramento contrattuale attraverso la riduzione del costo del lavoro. La scelta fatta con la legge finanziaria del 2010 di estendere i benefici fiscali e/o contributivi ai premi decisi unilateralmente è discordante con la promozione della contrattazione.

Con l’accordo interconfederale del 28 Giugno 2011 le parti sociali hanno voluto sottolineare l’importanza della contrattazione collettiva di secondo livello per meglio rispecchiare le diverse esigenze del settore produttivo. Tale accordo prevede che: “i contratti collettivi aziendali possono attivare strumenti di articolazione contrattuale mirati ad assicurare la capacità di aderire alle esigenze degli specifici contesti produttivi. I contratti collettivi aziendali possono pertanto definire, anche in via sperimentale e temporanea, specifiche intese modificative delle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro nei limiti e con le procedure previste dagli stessi contratti collettivi nazionali di lavoro.”.

Le riforme del mercato del lavoro che intende mettere in atto il Governo Monti vanno proprio in questo senso in quanto: “avranno[1] il duplice scopo di rendere più equo il nostro sistema di tutela del lavoro e di sicurezza sociale e anche di facilitare la crescita della produttività, tenendo conto dell'eterogeneità che contraddistingue in particolare l'economia italiana. Si vuole così perseguire lo spostamento del baricentro della contrattazione collettiva verso i luoghi di lavoro, come ci viene chiesto dalle autorità europee e come già le parti sociali hanno iniziato a fare[2], che va accompagnato da una disciplina coerente del sostegno alle persone senza impiego volta a facilitare la mobilità e il reinserimento nel mercato del lavoro, superando l'attuale segmentazione. Più mobilità tra impresa e settori è condizione essenziale per assecondare la trasformazione dell'economia italiana e sospingerne la crescita.”

L’ultima crisi finanziaria ha palesato importati effetti negativi dei sistemi di remunerazione in particolare per il management più elevato delle imprese; questi, infatti, tendevano e tendono a premiare l’alta dirigenza per il raggiungimento di obiettivi di breve o brevissimo periodo, cumulando rischi per la stabilità della stessa impresa nel medio-lungo termine. Ciò è stato vero soprattutto nel caso delle banche per la cartolarizzazione. Il governo USA ha deciso dunque limiti ai livelli retributivi dirigenziali[3]. Il noto Piano Obama-Dodd stabilisce dunque un “cap” (un limite) sulla retribuzione premiale/incentivante dei dirigenti di società che ricevono (hanno ricevuto) assistenza in relazione alla recente crisi finanziaria. I limiti possono essere suddivisi secondo due sezioni: la prima, che contiene le misure più restrittive, riguarda le società che riceveranno “exceptional financial recovery assistance”; la seconda attiene alle società che beneficeranno del programma generale di supporto. In tal modo si assume che la retribuzione possa non essere sufficientemente adatta a determinare il bene “di ciascuno e di tutti”. Si impone, pertanto, mediante via legislativa, una razionalizzazione al sistema per il bene di ciascuno e di tutti. I limiti del Piano Obama-Dodd sono tre:

1.    non convince la misura fissa del “cap” (500.000 dollari, perché?);

2.    si tratta di norma che monoliticamente si applica a tutti i dirigenti di quelle imprese sottoposte alla normativa (la distinzione per complessità organizzativa gioverebbe);

                3. viene meno il senso della retribuzione incentivante.

A segnalare la delicatezza del rapporto tra remunerazione ed obiettivi di impresa, va indicata anche la raccomandazione della Banca d’Italia che, con la Comunicazione del 28 ottobre 2009, ha sollecitato le aziende di credito a considerare le politiche di remunerazione come «oggetto di ordinaria verifica nell’ambito del processo di controllo e valutazione prudenziale svolto dalla Vigilanza».


[1] Mario MONTI nel suo discorso al Senato della Repubblica il 17 Novembre 2011 p.7.

[2] Il riferimento ultimo è all’accordo interconfederale del 28 Giugno 2011.

[3] Michele FAIOLI (2011): Attualità e dibattito in tema di costo del lavoro,retribuzione e politiche dei redditi, sta in Pasquale SANDULLI, Angelo PANDOLFO, Michele FAIOLI, Bilateralità, lavoro e turismo,Giappichelli Editore, Torino, p107 e seguenti.