Il tradimento nella casa coniugale integra il reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p.

I Giudici di Piazza Cavour, chiamati a pronunciarsi sulla vicenda di una donna costretta a tollerare i rapporti intimi del marito con l'amante nella casa coniugale, hanno stabilito con sentenza n° 16543/2017 (qui sotto allegata) che una tale condotta integra il reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p.

Il reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p.

La norma così, recita: "Chiunque,[…], maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte è punito con la reclusione da due a sei anni. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni, se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni".

Pertanto, l'uomo, alla luce di quanto stabilito dai Giudici del Palazzaccio, non può, in nessun modo, trovare un escamotage per sminuire/sdrammatizzare una tale condotta, provando che non si tratta di reato di maltrattamenti, ma semplicemente di aver "intrattenuto una relazione extraconiugale" e non la serie di atti vessatori richiesti dalla fattispecie incriminatrice.

Il tradimento nella casa coniugale integra maltrattamenti

I Giudici del Palazzaccio non ritenevano, pertanto, fondata la lamentela dell'uomo ed evidenziavano che il reato di maltrattamenti, ex art. 572 c.p. "integra una ipotesi di reato necessariamente abituale che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili (atti di infedeltà, di umiliazione generica, etc.) ovvero non perseguibili (percosse o minacce lievi, procedibili solo a querela), idonei a cagionare nella vittima durevoli sofferenze fisiche e morali".

Insomma, per i Giudici di Piazza Cavour il Giudice d'Appello ha, infatti, ben valutato la credibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa "constatando come la condotta di violenza e di sopraffazione che l'imputato ha inflitto a sua moglie, consistente nell'intrattenere rapporti sessuali con l'amante all'interno della casa coniugale imponendo alla moglie l'accettazione di tale stato di fatto con gravi minacce, abbia trovato riscontro anche nella relazione di servizio e nel chiaro contenuto delle conversazioni telefoniche intercorse tra l'imputato e la persona offesa".

In conclusione, nessuna difesa per l'uomo.

Cassazione, sentenza n. 16543/2017
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