Applicazioni pratiche in un procedimento amministrativo

Avv. Barbara Paoletti - Il caso giuridico in esame si innesta in un procedimento amministrativo giunto al terzo grado di giurisdizione al fine di dirimere una controversia tra un privato, il quale rivendicava la proprietà di un animale, definendolo domestico e il Ministero dell'ambiente, che, per converso, sosteneva quello stesso animale appartenente alla fauna selvatica e quindi proprietà indisponibile dello Stato.

Le qualità specifiche di questo animale svelano parzialmente la motivazione di una simile controversia, nel caso specifico, infatti si trattava di un incrocio di cane per lupo, ossia del prodotto dell'incrocio tra un animale chiaramente domestico ed uno selvatico per antonomasia.

Secondo la classificazione tassonomica di Linneo (1758), sia il cane che il lupo appartengono alla medesima Classe (Mammiferi), al medesimo Ordine (Carnivori), alla medesima Famiglia (Canidae), al medesimo Genere

(Canis), nonché alla medesima Specie (Lupus), perciò i due taxa, posta tale identità, sono due sottospecie diverse (Wilson e Reeder, 1993), l'uno Canis Lupus Familiaris e l'altro Canis Lupus Italicus, della medesima specie.

L'animale in esame era stato affidato dal Corpo Forestale dello Stato ad un privato cittadino, anche se le circostanze del suo ritrovamento rimanevano non chiare e le analisi genetiche condotte sul dna dell'animale evidenziavano l'introgressione di dna di lupo selvatico.

Dopo mesi dall'affidamento ufficiale, il Ministero dell'ambiente provvedeva all'emissione di un provvedimento in autotutela per l'annullamento del provvedimento di affidfamento dell'animale, sostenendo la violazione della
normativa vigente a tutela della fauna selvatica. 

La parte privata impugnava il provvedimento di annullamento, sostenendone, invece, l'assimilabilità alla fauna domestica e dunque rivendicandone la privata proprietà.

La questione giuridica verteva, dunque, nella scelta di quale normativa ritenere applicabile ad un animale simile, da una parte quella sugli animali d'affezione e dall'altra quella sulla fauna selvatica; considerando che, allo stato, non esiste una normativa chiara ed univoca che contempli la categoria dell'incrocio tra animale selvatico e animale domestico.

Secondo la tesi del Ministero dell'ambiente, l'animale in esame sarebbe dovuto soggiacere alla normativa prevista per la fauna selvatica, sostenendo come l'articolo 2 della Legge 157/1992, chiarendo l'oggetto di tutela della normativa, precisi che: "Fanno parte della fauna selvatica oggetto della tutela della presente legge le specie di mammiferi e di uccelli dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale. Sono particolarmente protette, anche sotto il profilo sanzionatorio, le seguenti specie: a) mammiferi: lupo (Canis lupus),…"; ma ad una lettura della disposizione di cui sopra risulta alquanto difficile ritenere che la categoria
"ibrido" possa ritenersi ricompresa all'interno delle specie descritte, sia in relazione alla sua qualificazione peculiare (incrocio tra specie domestica e specie selvatica, chiaramente non lupo e decisamente non contemplata quale
categoria specifica), sia in relazione al dato inerente lo stato di naturale libertà (come detto la categoria "ibrido" cane per lupo non è una specie riconosciuta a se stante!).

Il punto appare di fondamentale importanza per la possibilità di determinare erronei convincimenti in relazione all'attribuzione di una qualifica determinata, che nel caso specifico è la nozione di selvatico, così come inteso dalla normativa vigente.

Proseguendo nella disamina sulla normativa sulla fauna selvatica, si evidenzia come secondo la Legge 13 marzo 1993 n. 59, la quale inserisce l'articolo 8 - sexies nella legge 7 febbraio 1992 n.150, per "selvatica" si intenda la fauna proveniente direttamente dall'ambiente naturale e da genitori a loro volta di specie selvatica o anche un animale "proveniente da nascita in cattività limitata alla prima generazione". In questo secondo caso si tratterebbe perciò di un animale proveniente da genitori nati in cattività, ma non nato a sua volta in cattività.

E' quindi necessario approfondire il tema definendo cosa si intenda con animali nati o riprodotti in cattività. Un esemplare nato in cattività è un soggetto nato da genitori, di cui uno almeno di origine selvatica, che siano riprodotti in ambiente controllato (Legge 150/92, art. 8 sexies, lett. d). Pertanto, l'animale nato in cattività appartiene alla prima generazione (F1), mentre l'animale riprodotto in cattività alla seconda (F2). Da ciò si può agevolmente concludere che per la legge italiana vigente, in un caso o nell'altro, si può ritenere "selvatico" al massimo un F2. Ma se questo è da ritenersi pacifico per le specie selvatiche derivanti da genitori di specie selvatica, operando al più distinzione tra provenienza dall'ambiente naturale e dall'ambiente controllato (espressioni chiaramente riferite a selvatici che escludono la propria applicabilità ai domestici), non vi è alcun riferimento che possa far presumere di poter estendere tali definizioni, e quindi le relative disposizioni, ad animali risultati dall'incrocio intraspecifico con sottospecie domestica. E difatti lo status di ibrido tra selvatico e domestico (lupo x cane) è vittima di un vuoto normativo.

A sostegno di tale tesi appare opportuno anche considerare che, nella delibera del 20 luglio 2011, la XIII Commissione Permanente Agricoltura presso la Camera dei Deputati, in ordine alla tematica relativa ai

danni da predazione alle produzioni zootecniche ed agricole, in riferimento ai cani rinselvatichiti, si sostenga come tali animali, certamente originariamente domestici, possano considerarsi fauna selvatica qualora si alimentino, si
ricoverino e si riproducano indipendentemente dal governo dell'uomo.

La stessa delibera della XIII Commissione Permanente Agricoltura evidenziava anche come la presenza di un vuoto normativo nei riguardi dell'ibrido di cane e lupo, assumesse rilevanza in ragione dell'impossibilità

di assimilarlo al lupo selvatico, così impedendo l'applicazione della normativa sui risarcimenti da fauna selvatica alle predazioni di tali individui.

Secondo altro profilo veniva sostenuta la presunta violazione della normativa C.I.T.E.S., la quale rinvia alle disposizioni normative contenute nel Regolamento Comunitario 338/1997 e successive modifiche, in quanto la specie lupo sarebbe oggetto di massima tutela rispetto alle disposizioni contenute all'interno della summenzionata Convenzione di Washington. 

Orbene, negli allegati A e B, contenenti l'elenco delle specie alle quali si applicano le richiamate disposizioni, e in tutto il testo normativo, non è prevista la categoria o definizione dell'ibrido tra cane e lupo. Ciò rileva in
quanto la sottospecie canis lupus familiaris risulti addirittura esclusa esplicitamente dall'applicabilità della normativa . Tale osservazione rileva in quanto si dovrebbe innanzitutto accertare la possibilità di applicare un
regolamento comunitario all'ibrido tra una sottospecie inclusa nel regolamento e l'altra dichiaratamente esclusa. Altra rilevante considerazione è quella per la quale l'unico riferimento al termine ibrido viene rinvenuta nella nota
interpretativa agli allegati A,B,C,D del Reg. 101/2012, ad integrazione del Reg. comunitario 338/97 e si riferisce in particolare agli ibridi che entro la 4° generazione della loro ascendenza presentino un esemplare contemplato negli
elenchi di cui all'allegato A o B. Secondo tale disposizione interpretativa, però, viene solamente preisata l'applicabilità delle disposizioni contenute nell'uno o nell'altro allegato per specie ("selvatiche") esplicitamente sottoposte a tale regime di tutela. Al di là di tale considerazione irrisolta, ne giunge ulteriore circa l'opportunità di accertare se le disposizioni di cui alla legge 150/92,  le quali fanno esplicito richiamo solo alle prescrizioni del Regolamento
CE n. 338/97 del 9 dicembre 1996 e successive attuazioni e modificazioni, possano interpretarsi estensivamente nel senso di comprendere anche tutte le indicazioni e prescrizioni contenute in atti normativi diversi, come nel caso
di specie, in una nota interpretativa agli allegati e non in una disposizione compresa nel testo del Regolamento. A
rendere, nel caso di specie, del tutto superflua la disquisizione interpretativa sulla normativa CITES è l'impossibilità oggettiva della scienza genetica di accertare l'appartenenza ad una generazione specifica di
ibridazione tra lupo e cane.

La giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di chiarire la portata delle definizioni giuridiche di interesse circa la distinzione tra fauna domestica e fauna selvatica, sancendo, con la Sentenza n. 2598 del 2004, che, a prescindere dalla classificazione in uso alla scienza zoologica, la fauna è da ritenersi assimilabile alla fauna selvatica quando si

ricovera, si riproduce e si alimenta indipendentemente dall'uomo; per converso è da assimilarsi alla fauna domestica quando si ricovera, si alimenta e si riproduce sotto il governo dell'uomo.

In linea con tale orientamento si osservi anche come aiuti anche considerare l'esistenza di alcune razze canine riconosciute da E.N.C.I. e F.C.I. (Ente nazionale cinofilia italiana e Federazione Cinofila Italiana), quali il Cane Lupo di Saarloos, il Cane Lupo Cecoslovacco, etc., le quali sono legalmente e dichiaratamente "ibridi" domestici di recente intromissione di dna di lupo (canis lupus lupus e canis lupus nubilus) nel cane (pastore tedesco, Siberian Husky, etc), la cui commercializzazione è libera e la diffusione come animali domestici (cani a tutti gli effetti) pacifica.

Pertanto, sulla questione in esame, l'autorità giurisdizionale adita, il Consiglio di Stato, ha definitivamente pronunciato sul ricorso proposto, utilizzando l'unico elemento giuridico utilizzabile al caso in esame, ossia il principio stabilito dalla sentenza della Corte di Cassazione del 2004, sancendo che, essendo l'esemplare in oggetto,

effettivamente trattato come un qualsiasi animale domestico, non soccorreva alcuna applicazione di normativa sulla fauna selvatica, considerando che alcun aspetto biologico ed etologico dell'esemplare riconducevano a tale categoria
giuridica ed assimilando così di fatto l'esemplare in oggetto ad un animale domestico qualsiasi (sentenza 4639/2014).

D'altronde la sentenza del Consiglio di Stato appare perfettamente in linea con la novellata definizione di animale domestico introdotta con la Legge 241/2010, recepimento della Convenzione Europea dei Diritti degli animali, laddove all'articolo 1 si definisce animale domestico: qualsiasi animale tenuto o destinato ad essere tenuto dall'uomo per compagnia o comunque nel suo alloggio domestico.

dott.barbara.paoletti@gmail.com


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