Il danno tanatologico o danno da morte è il danno conseguente alla sofferenza patita dal defunto prima di morire a causa delle lesioni subite da un'illecita azione compiuta da terzi

Cos'è il danno tanatologico

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Il danno tanatologico può essere definito come il danno conseguente alla sofferenza patita dal defunto prima di morire a causa delle lesioni fisiche derivanti da un'azione illecita compiuta da terzi.

Come qualche autore non ha mancato di far rilevare per la configurabilità del cd. danno tanatologico, indicato in termini di danno morale terminale o da lucida agonia subito dalla vittima per la sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l'ineluttabile approssimarsi della propria fine, assume rilievo il criterio dell'intensità della sofferenza provata, a prescindere dall'apprezzabile intervallo di tempo tra lesioni e decesso della vittima (Renato Savoia, Danno morale terminale vs danno biologico terminale, Diritto & Giustizia, fasc.70, 2016, pag. 6). In sintesi, dunque, con l'espressione danno tanatologico, si è soliti rappresentare l'evento costituito dalla morte di una persona, causata dall'altrui fatto illecito, allorquando il decesso sia contestuale all'azione dannosa, e consecutivo ad essa. Detta voce di danno, sovente, viene definita anche come danno da perdita della vita, consistente dunque nella lesione di un bene giuridicamente protetto e di rango primario, la cui tutela è azionabile a prescindere dalla materiale durata dell'infermità dell'individuo.

La giurisprudenza sul punto ha con estrema chiarezza ammesso che "È da escludere la configurabilità del cd. "danno tanatologico" (o da morte) qualora la morte coincida sostanzialmente (come nel caso di specie) con il momento della lesione personale" (Cassazione civile sez. III 20 novembre 2012 n. 20292).

I parametri normativi cui fare riferimento, sono ovviamente rinvenibili nel disposto dell'art. 2059 c.c., trattandosi di danno non patrimoniale ("Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge") (si ricordi come la Suprema Corte con le storiche sentenze San Martino, abbia stabilito che il danno non patrimoniale costituisce un modello unitario del quale le singole categorie hanno solo valenza descrittiva - Cass., SS.UU., 11 novembre 2008, n. 26972, 26973, 26974, 26975).

In ordine al concetto di diritto alla vita, la Corte di Cassazione ha ritenuto che, in deroga al generale principio secondo cui, nel nostro ordinamento, risarcibile è non già la lesione in sé di un interesse giuridicamente tutelato (danno evento), quanto piuttosto solo il pregiudizio concretamente sofferto dalla vittima in conseguenza di detta lesione (danno conseguenza), quello della perdita della vita costituirebbe danno risarcibile ex se nella sua oggettività a favore della persona offesa (V. Torrente - Schlesinger, Manuale di diritto privato, XXII° edizione, p. 133; ex plurimis Cass. 23 gennaio 2014, n. 1361; Cass. 4 marzo 2014, n. 5056).

La risarcibilità del danno tanatologico per la Cassazione

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In tema di risarcimento deve comunque ricordarsi che la Corte di Cassazione, in un celeberrimo precedente delle Sezioni Unite, ha ammesso che "I danni risarcibili sono solo quelli che consistono nelle perdite che sono conseguenza della lesione della situazione giuridica soggettiva e non quelli consistenti nell'evento lesivo in sé considerato" (Cassazione civile sez. un. 22 luglio 2015 n. 15350).

La miglior definizione di condizione di risarcibilità del danno tanatologico è rinvenibile in un precedente della Suprema Corte con qui questa Cassa App. Reggio Calabria, 10/12/2012, nella quale si legge che "La paura di dover morire, provata da chi abbia patito lesioni personali e si renda conto che esse saranno letali, è un danno non patrimoniale risarcibile soltanto se la vittima sia stata in grado di comprendere che la propria fine era imminente, sicché, in difetto di tale consapevolezza, non è nemmeno concepibile l'esistenza del danno in questione, a nulla rilevando che la morte sia stata effettivamente causata dalle lesioni" (Cassazione civile sez. III 13 giugno 2014 n. 13537).

Dunque, attenendosi pedissequamente all'interpretazione offerta dai giudici di legittimità, condizione che determina la risarcibilità del danno tanatologico, è l'assunzione di consapevolezza da parte della vittima dell'imminenza della sua morte, sentendo approssimarsi la quale patisce un consistente dolore che è ascrivibile alla categoria dei cc.dd. danni non patrimoniali. Di senso contrario è invece un'ulteriore orientamento, teso ad ammettere che "La perdita della vita va ristorata a prescindere dalla consapevolezza che il danneggiato ne abbia, anche in caso di morte c.d. immediata o istantanea, senza che assumano pertanto rilievo né il presupposto della persistenza in vita per un apprezzabile lasso di tempo successivo al danno evento né il criterio dell'intensità della sofferenza subita dalla vittima per la cosciente e lucida percezione dell'ineluttabile sopraggiungere della propria fine" (Cassazione civile sez. III 23 gennaio 2014 n. 1361).

Sembrerebbe quindi, a voler seguire con pedissequa pertinenza le parole dei giudici di Piazza Cavour, che il c.d. danno da perdita della vita vada risarcito a prescindere dalla consapevolezza da parte del danneggiato. La dicotomia tra le due interpretazioni viene ricucita da una posizione mediana, assunta sempre dalla Suprema Corte, che ammette a scanso di equivoci, che "In assenza di prova della sussistenza di uno stato di coscienza della persona nel breve intervallo tra il sinistro e la morte, la lesione del diritto alla vita non è suscettibile di risarcimento, neppure sotto il profilo del danno biologico, a favore del soggetto che è morto, essendo inconcepibile l'acquisizione in capo a lui di un diritto che deriva dal fatto stesso della morte; e, d'altra parte, in considerazione della natura non sanzionatoria, ma solo riparatoria o consolatoria del risarcimento del danno civile, ai congiunti spetta in questo caso il solo risarcimento conseguente alla lesione della possibilità di godere del rapporto parentale con la persona defunta" (Cassazione civile sez. III 28 gennaio 2013 n. 1871).

Il risarcimento del danno tanatologico può essere preteso dagli eredi?

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È la stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione a precludere la possibilità di risarcimento del predetto danno agli eredi, avendo ritenuto le Sezioni Unite che "Nel caso di morte immediata o che segua entro brevissimo lasso di tempo alle lesioni non può essere invocato un diritto al risarcimento del danno iure hereditatis. Se, infatti, è alla lesione che si rapportano i danni, questi entrano e possono logicamente entrare nel patrimonio del lesionato solo in quanto e fin quando il medesimo sia in vita. Questo spentosi, cessa anche la capacità di acquistare, che presuppone necessariamente l'esistenza di un soggetto di diritto" (Cassazione civile sez. un. 22 luglio 2015 n. 15350).

Le Sezioni Unite hanno dunque escluso la possibilità del risarcimento del danno Iure hereditatis, rilevando le SS.UU che i danni entrano nel patrimonio del lesionato solo in quanto e fino a che il medesimo sia in vita. Dunque con la morte di questi cessa l'esistenza di un soggetto di diritto.

Conclusioni

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Sul danno tanatologico molto si è scritto ed altrettante pronunce sono state rese sia dalla giurisprudenza di legittimità che di merito. Tuttavia in ordine al risarcimento di detta voce di danno, non compiutamente definito ancora nella sua natura, sussistono forti dubbi, accentuandosi nell'elaborazione giurisprudenziale la dicotomia tra la necessaria consapevolezza dell'approssimarsi della fine della propria vita quale presupposto essenziale ai fini della qualificazione e risarcibilità e posizioni di senso contrario.

Daniele PaolantiDaniele Paolanti - profilo e articoli
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Vincitore del concorso di ammissione al Dottorato di Ricerca svolge attività di assistenza alla didattica.

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