Sempre più diffuse nei Palazzi di Giustizia le circolari che impognono un dress code "decoroso"

di Lucia Izzo - Libertà di stile e abbigliamento si, ma senza sfociare nell'indecoroso, soprattutto in relazione all'ambiente che si frequenta, ad esempio le aule di giustizia. Questo è il leitmotiv che sempre più strutture giuridiche in Italia sentono il bisogno di mettere per iscritto, rivolgendo agli avventori dei Tribunali e delle Corti l'avvertimento che, indipendentemente dalle alte temperature, è sempre necessario adottare negli uffici un abbigliamento "consono" (leggi: "Arriva l'estate. Ma come ti svesti... in tribunale"). 


Una situazione che non coinvolge solo i "non addetti" ai lavori, ad esempio testimoni, imputati o coloro che partecipano alle udienze, ma anche gli stessi avvocati che frequentemente si presentano in udienza con tenute decisamente "casual": una libera scelta che, tuttavia, non è ritenuta confacente al decoro istituzionale del Palazzo di Giustizia.


A Lecce, ad esempio, si applica in maniera rigorosa la circolare emanata da circa due anni dal Presidente della Corte d'Appello Mario Fiorella: l'accesso nel Palazzo di Giustizia, si legge nella nota, non è consentito alle persone vestite in modo non decoroso, intendendo per tale quello troppo "sciatto e succinto".


Il Palazzo di Giustizia, prosegue il Presidente, è un luogo di lavoro, il rispetto del quale passa anche attraverso l'osservanza di un comportamento educato e rispettoso verso cose e persone, eleganza che si esprime anche mediante la cura dell'abbigliamento e dell'igiene personale di coloro che a vario titolo lo frequentano.


Stop ai trasgressori quindi, letteralmente: all'ingresso, infatti, il personale di sicurezza è tenuto a controllare con rigore e garbo gli avventori, impedendo l'accesso ai "trasgressori" ed invitandoli a tornare quando avranno un "outfit" adeguato.


Tra i fermati, ad esempio, come riporta il Corrieresalentino.it, un avvocato giunto in pinocchietto e sandali da mare, che ha tentato inutilmente di giustificare il look con la scusa di dover adempiere una veloce incombenza. Stessa sorte toccata alla cliente di un praticante (qualificatosi come avvocato), fermata alla porta a causa del suo vestiario (canotta e shorts inguinali).


Anche a Pisa, racconta Il Tirreno, confermata per l'estate 2016 la circolare firmata dal presidente del Tribunale, Salvatore Laganà, riguardante il dress code per coloro che frequentano il Palazzo di Giustizia: vietati pantaloncini o gonne inguinali e canottiere per le donne, così come bermuda e infradito per gli uomini.

La giustificazione dello stop ai "malvestiti" è anche qui la medesima: salvaguardare il decoro degli uffici giudiziari e il dovuto rispetto della funzione all'interno degli stessi svolta. 


Anche ad Ischia, dove l'estate forse si fa sentire ancor di più rispetto alle altre località italiane stante la vicinanza del mare, si è sentito il bisogno di un apposito cartello atto a segnalare che in una sede giudiziaria è necessario "adottare un abbigliamento consono al luogo e adeguato al ruolo che si ricopre".


Non si tratta, tuttavia, di esempi isolati, poichè in sempre più sedi giudiziarie si rendono necessarie segnalazioni per contrastare quello che viene visto come un dilagante "malcostume", soprattutto nella stagione estiva in cui le temperature costringono a scoprirsi. E mentre esplode la polemica, tra chi aderisce alla decisione e chi, invece, si trova in disaccordo con l'imposizione sull'abbigliamento, meglio controllare lo specchio per non rischiare di dover tornare a casa a cambiarsi.


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