Lo ha ricordato la Cassazione ribadendo un indirizzo consolidato

di Marina Crisafi - Le norme di un codice deontologico emanato da un ordine professionale, come quello forense, non possono essere assimilate a norme di diritto operanti nell'ordinamento generale. A ricordarlo è la Cassazione, in una recente sentenza (n. 23017/2015, qui sotto allegata), pronunciandosi su una vicenda relativa alla rifusione delle spese di giudizio da parte di una società (leggi: "Cassazione: l'avvocato può trattenere le somme pagate dalla controparte a titolo di compenso senza avvisare il cliente").

Dando ragione al difensore, attraverso l'affermazione della possibilità di tenere per sé le somme liquidate in sentenza a carico della controparte, a titolo di pagamento di diritti ed onorari se il cliente non lo ha ancora pagato e anche senza avvisarlo, la Cassazione, riportandosi ad un indirizzo consolidato in giurisprudenza (cfr., tra le altre, Cass. n. 1476/2007), ha ribadito che "le norme del codice deontologico di un ordine professionale, al di fuori dell'ambito disciplinare, non sono assimilabili a norme di diritto operanti nell'ordinamento generale, né possono essere considerate tali nell'accezione e ai fini di cui all'articolo 360 n. 3, del c.p.c".

Per cui, non avendo la vicenda portata alla sua attenzione, alcuna connotazione disciplinare, la disposizione in contestazione (ossia l'art. 44) del codice deontologico, "in nessun modo proietta la sua efficacia dispositiva al di là del rapporto d'opera intellettuale intercorso" tra l'avvocato e le parti.

Analogamente, in altre recenti pronunce, dal palazzaccio hanno ribadito che "il ricorso per cassazione

avverso le decisioni del C.N.F. è proponibile ai sensi dell'art. 111 Cost. e, cioè, per violazione di legge, esulando l'ipotesi del vizio della motivazione di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c. (tranne il caso di sostanziale inesistenza della stessa)", nonché (in quanto ricompresa nell'ambito della violazione di legge), per violazione delle norme dei codici deontologici degli ordini professionali, "trattandosi di norme giuridiche obbligatorie valevoli per gli iscritti all'albo ma che integrano il diritto oggettivo ai fini della configurazione dell'illecito disciplinare" (cfr. Cass. n. 5776/2004; v. nello stesso senso, Cass. n. 5116/2011; n. 15852/2009).

Cassazione, sentenza n. 23017/2015

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