La Corte d'Appello di Milano ha revocato il beneficio all'ex moglie che aveva agito con colpa grave per violazione degli obblighi di assistenza familiare

di Marina Crisafi - Giro di vite contro chi approfitta del patrocinio gratuito per proporre azioni pretestuose e infondate. Tale condotta, che integra la colpa grave, deve essere sanzionata con la revoca del beneficio e la conseguente condanna a pagare tutte le spese di causa.

Ad affermarlo è la Corte d'Appello di Milano, con la sentenza n. 1000/2015 (qui sotto allegata), respingendo il ricorso di un'ex moglie che chiedeva un risarcimento danni sproporzionato al marito a causa di una asserita violazione degli obblighi di assistenza familiare per il mancato pagamento dell'assegno di mantenimento disposto in sede di divorzio.

Per i giudici milanesi, non solo i ritardi nei versamenti hanno riguardato un periodo molto limitato, ma gli arretrati sono stati anche saldati dall'ex coniuge, per cui nessuna contestazione di inadempimento "può essere considerata fonte di una pretesa risarcitoria; del tutto fantasiosa appare poi la richiesta di danni morali ed esistenziali nella somma di Euro 200.000, per le sofferenze conseguenti ad atti di molestie, non provate, da parte dell'ex coniuge, come pure prive di riscontri probatori sono le richieste risarcitorie relative a uno stato di prostrazione fisica e mentale patito a causa delle condotte illecite dell'ex marito, che avrebbe determinato uno stato di sofferenza cardiaca, rispetto al quale l'appellante non ha offerto alcun riscontro della riconducibilità dello stesso a stress psicofisici, né che tali pretese sofferenze possano essere in qualche modo poste in correlazione con condotte dell'ex coniuge".

Al contrario, rileva il collegio dalla documentazione prodotta e valutata dal giudice delle prime cure, risultava che le parti avessero raggiunto un accordo, in conseguenza del quale la donna si era impegnata a "null'altro pretendere per nessun titolo" dall'ex.

È evidente dunque la totale infondatezza delle pretese e conseguentemente l'integrale conferma della sentenza impugnata.

Va ricordato, hanno spiegato infatti i giudici di merito, che il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati ammette l'interessato in via anticipata e provvisoria al patrocinio se le pretese fatte valere non sono manifestamente infondate (art. 126 d.p.r. n. 115/2002) e che il magistrato, come affermato anche dalla Corte Costituzionale (cfr. ordinanza n. 220/2009) può revocare l'ammissione provvisoria disposta dal Coa, laddove risulti "l'insussistenza dei presupposti per l'ammissione ovvero se l'interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave" (art. 136 co. 2 D.P.R. 115/2002).

E in tal modo ha agito la donna nel caso di specie, impugnando la sentenza di primo grado che aveva già evidenziato le radicali carenze sia in fatto che in diritto delle sue ragioni. Per cui il provvedimento deve essere revocato, con effetto retroattivo e l'appello rigettato, con conseguente condanna a pagare oltre 9mila euro per le spese legali sostenute dal marito, oltre al contributo unificato.

Corte d'Appello Milano, sentenza n. 1000/2015

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