La Cassazione conferma la condanna di un uomo per il reato di molestie telefoniche per il chiaro intento di disturbare la persona offesa

di Marina Crisafi - Divertirsi a fare dispetti telefonici al marito della propria amante può costare una condanna per il reato di molestie. È quanto ha stabilito la Cassazione, con la sentenza n. 43704/2015 depositata ieri (qui sotto allegata), confermando la pena di 300 euro di ammenda (oltre al risarcimento danni di 3mila euro) inflitta ad un uomo che per diverso tempo si era dilettato a tempestare di telefonate il marito della donna con cui intratteneva una relazione.

Per la prima sezione penale, si tratta senza dubbio di molestie e non regge la tesi della mancanza dell'intenzione di molestare la persona offesa.

A inchiodare l'uomo, di fronte ai giudici di merito, sia le dichiarazioni rese dal marito tradito che i tabulati telefonici, i quali mostravano chiaramente la provenienza delle chiamate dall'utenza dell'imputato, la maggior parte effettuate in orari notturni (dopo le 3:30) e talmente numerose da non poter certo ipotizzare la "natura occasionale" delle stesse.

Modalità, orario e tenore delle telefonate dunque, data la connotazione di "petulanza" che le caratterizzava convincono anche gli Ermellini, per i quali è configurabile il reato di cui all'art. 660 c.p., sotto il duplice profilo oggettivo e soggettivo.

Del resto, hanno affermato da piazza Cavour, "il reato di molestia di cui all'art. 660 c.p. non è necessariamente abituale, per cui può essere realizzato anche con una sola azione di disturbo o di molestia, purché ispirata da biasimevole motivo o avente il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri".

Per cui ricorso rigettato e condanna confermata per l'uomo che dovrà risarcire i danni al marito dell'amante, oltre a pagare 2.500 euro per le spese di giudizio.

Cassazione, sentenza n. 43704/2015

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