Responsabilità civile dei magistrati

La responsabilità civile dei magistrati è quella che deriva dai danni da questi cagionati nell'esercizio delle loro funzioni giudiziarie

Legge Vassalli

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La responsabilità civile dei magistrati nell'ambito dell'esercizio delle funzioni giudiziarie è disciplinata dalla legge n. 117 del 13 aprile 1988 (c.d. "legge Vassalli"), che, nel complesso, tenta di contemperare tale responsabilità con l'esigenza di salvaguardare l'indipendenza e l'autonomia di giudici e pubblici ministeri.

Campo di applicazione della legge Vassalli

L'art. 1, comma 1, della legge n. 117 del 1998 delinea il campo di applicazione della responsabilità civile dei magistrati, sancendo che le disposizioni legislative "si applicano a tutti gli appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciali, che esercitano l'attività giudiziaria, indipendentemente dalla natura delle funzioni, nonchè agli estranei che partecipano all'esercizio della funzione giudiziaria".

Il comma successivo estende il campo di applicazione anche ai magistrati che esercitano le proprie funzioni in organi collegiali.

La strada verso la riforma della legge 177 del 1988

Approvata a seguito del referendum abrogativo della previgente normativa (d.p.r. n. 497/1987) considerata eccessivamente limitativa, nel tempo la legge Vassalli ha dimostrato di rispondere solo in parte agli obiettivi originari fissati con il referendum, realizzando di fatto una responsabilità più virtuale che reale, tanto da portare, a seguito di un lungo dibattito - alimentato anche dalle sollecitazioni della Corte di Giustizia Europea - a una nuova riforma operata dalla legge n. 18 del 27 febbraio 2015, in vigore dal 19 marzo 2015.

A fronte dei dubbi risultati prodotti dalla legge Vassalli, prima dell'approvazione della legge 18/2015 sono stati presentati svariati progetti di legge; nel difficile dibattito sul tema si è incisivamente inserita anche la Corte di Giustizia dell'Unione europea, che si è pronunciata in più occasioni sulla mancata rispondenza della legge Vassalli alle norme del diritto comunitario, soprattutto in merito all'esclusione della responsabilità del magistrato nei casi di interpretazione di norme di diritto o della valutazione di fatti e prove e all'imposizione di requisiti poco rigorosi nei confronti della violazione manifesta del diritto vigente (causa C-224/01 "Kobler"; causa C-173/03 "Traghetti del Mediterraneo SpA" conclusa con sentenza del 13.6.2006). Ciò ha comportato anche l'avvio da parte della CGUE di una procedura di infrazione, conclusa con una sentenza di condanna per l'Italia (Commissione c. Italia 24.11.2011).

Legge 18/2015

La sostanziale riforma della legge Vassalli, e quindi della responsabilità civile dei magistrati, si è avuta, come accennato, con la legge n. 18/2015, che, nell'ottica di adeguare l'ordinamento italiano alle indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia Europea, ha modificato in più punti la legge n. 117 del 1988, mantenendo tuttavia inalterato il principio della responsabilità indiretta dei magistrati, invocato da più parti, e agendo sostanzialmente sotto il profilo della limitazione della c.d. "clausola di salvaguardia", della ridefinizione in senso più ampio delle fattispecie di colpa grave e dell'eliminazione del filtro endoprocessuale di ammissibilità della domanda. La riforma del 2015, infine, ha reso obbligatoria e più stringente la disciplina della rivalsa dello Stato verso il magistrato responsabile.

Danno risarcibile e responsabilità indiretta

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La responsabilità civile dei magistrati è quindi oggi disciplinata dalla legge n. 117/1988, così come riformata dalla legge n. 18/2015. Analizziamone le più importanti previsioni.

I danni risarcibili

Il principio generale, sancito dall'articolo 2, prevede che chiunque abbia subito un danno ingiusto, a causa di un comportamento, atto o provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato "può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali" (art. 2, comma 1).

A tale proposito si segnala che, con la riforma del 2015, è stato ampliato lo spettro delle ipotesi del risarcimento dei danni cagionati dai magistrati che danno diritto a risarcimento attraverso l'eliminazione della norma di chiusura (precedentemente prevista dal comma 1 dell'art. 2) che limitava i danni risarcibili a quelli derivanti "da privazione della libertà personale".

Il danno ingiusto

Quanto al requisito dell'ingiustizia, il danno deve rappresentare l'effetto di un comportamento, atto o provvedimento giudiziario posto in essere da un magistrato con "dolo" o "colpa grave" nell'esercizio delle sue funzioni oppure conseguente "a diniego di giustizia".

Il principio di responsabilità indiretta dei magistrati

Rimane, invece, invariato il principio di responsabilità indiretta, per cui il cittadino che ha subito un danno ingiusto dal comportamento del magistrato dovrà agire, come vedremo meglio più avanti, esclusivamente nei riguardi dello Stato, il quale si rifarà in un secondo momento sul giudice responsabile.

Viene fatta salva l'ipotesi di cui all'art. 13, comma 1, della legge Vassalli, che prevede che il cittadino, laddove il danno causato dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni consegua a un fatto costituente reato, possa esperire l'azione civile per il risarcimento nei confronti del magistrato e dello Stato secondo le norme ordinarie.

La colpa grave del magistrato

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Fino all'entrata in vigore della legge n. 19/2015, l'art. 2, comma 3, della legge Vassalli includeva nella colpa grave:

  • la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;
  • l'affermazione e la negazione, determinate da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa (ovvero sussistente) dagli atti del procedimento;
  • l'emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge o senza motivazione.

Con la riforma, il legislatore ha provveduto a ridisegnare le fattispecie di colpa grave, novellando l'intero comma 3 e aggiungendo un comma 3-bis all'art. 2 della legge Vassalli.

Negligenza inescusabile del giudice: addio

In particolare, prendendo spunto dalle indicazioni emerse dalla giurisprudenza - secondo la quale la colpa grave si concretizza in una violazione "grossolana e macroscopica della norma ovvero in una lettura di essa contrastante con ogni criterio logico, che comporta l'adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore, la manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo e lo sconfinamento dell'interpretazione nel diritto libero" (cfr. ex multis, Cass. n. 7272/2008) - il legislatore del 2015 ha soppresso innanzitutto il riferimento alla "negligenza inescusabile" prima previsto, stabilendo così che i comportamenti dei magistrati che rientrano nelle ipotesi di colpa grave sono tali ope legis.

Ipotesi di colpa grave

Le ipotesi di colpa grave previste dal novellato comma 3 dell'art. 2 sono le seguenti:

  • violazione manifesta della legge nonchè del diritto dell'Unione Europea (in luogo della grave violazione di legge precedentemente prevista);
  • travisamento del fatto o delle prove;
  • affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento, o, viceversa, negazione di un fatto incontrastabilmente esistente;
  • emissione di un provvedimento cautelare personale o reale fuori dai casi consentiti dalla legge o senza motivazione.

Si precisa che, ai fini della determinazione dei casi in cui sussiste la violazione manifesta della legge e del diritto dell'Unione Europea, deve tenersi conto del grado di chiarezza e precisione delle norme violate; dell'inescusabilità e della gravità dell'inosservanza, oltre che, con riferimento solamente alla violazione manifesta del diritto dell'UE, della mancata osservanza dell'obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell'articolo 267, terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, nonchè del contrasto dell'atto o del provvedimento con l'interpretazione espressa dalla Corte di giustizia dell'Unione europea.

Il diniego di giustizia

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Come visto, oltre che per dolo o colpa grave, la responsabilità civile del magistrato può derivare anche dal diniego di giustizia.

Secondo l'articolo 3, comma 1, della legge Vassalli (lasciato inalterato dalla riforma), esso si configura nei casi di ritardi, rifiuti od omissioni del magistrato nel compimento di uno o più atti di ufficio, quando è trascorso il termine di legge per il compimento dell'atto, la parte ha presentato istanza per ottenere il provvedimento e sono decorsi inutilmente, senza giustificato motivo, trenta giorni dalla data di deposito in cancelleria.

Inoltre, nel caso in cui il ritardo o l'omissione, immotivati e ingiustificati, riguardino direttamente la libertà personale dell'imputato, la predetta scadenza è diminuita improrogabilmente a cinque giorni, a partire dal deposito dell'istanza, o è coincidente con lo stesso giorno in cui si è verificata una situazione (o è decorso un termine) che renda incompatibile la permanenza della misura restrittiva della libertà personale (art. 3, comma 3, l. n. 117/1988).

Interpretazione della legge e valutazione del fatto

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Il magistrato, salvo i casi di dolo e colpa grave, non può essere chiamato a rispondere per la sua attività di interpretazione di norme di diritto o di valutazione del fatto e delle prove.

Si tratta della cd. "clausola di salvaguardia", prevista dall'articolo 2, comma 2, della legge Vassalli, che, nei fatti, lascia alle parti, nelle predette ipotesi, una tutela di natura esclusivamente endoprocessuale, che può attuarsi attraverso l'impugnazione del provvedimento giurisdizionale che si assume essere viziato.

Cosa fare quando il giudice sbaglia

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Per quanto concerne l'azione in giudizio, chi ha subito il danno ingiusto per effetto del comportamento di un magistrato non può agire direttamente nei confronti di quest'ultimo, ma, come accennato, deve rivolgersi direttamente contro lo Stato, nella persona del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Responsabilità dei magistrati: giudice competente

La competenza spetta al tribunale del capoluogo del distretto della Corte d'appello, da determinarsi a norma dell'articolo 11 del codice di procedura penale e dell'art. 1 delle relative disposizioni attuative.

Quando esercitare l'azione

L'azione può essere esercitata soltanto quando siano stati già esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari e, in ogni caso, quando non è più possibile modificare o revocare il procedimento, ovvero - se tali rimedi non sono previsti - quando sia esaurito il grado del procedimento nell'ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno.

A proposito delle tempistiche, l'azione va oggi proposta entro tre anni (in luogo dei precedenti due), a pena di decadenza, a partire dal momento in cui è possibile esperirla, ovvero dopo tre anni dalla data in cui il fatto è avvenuto (nel caso in cui il grado del procedimento in cui si è verificato il fatto non sia ancora concluso), o, nei casi di diniego di giustizia, entro tre anni dalla scadenza del termine entro il quale il magistrato avrebbe dovuto provvedere sull'istanza.

In nessun caso, comunque, il termine può decorrere nei confronti della parte che, a causa del segreto istruttorio, non abbia avuto conoscenza del fatto.

Responsabilità dei magistrati: il vecchio filtro di ammissibilità

Oggi non è più previsto il cd. "filtro di ammissibilità" in forza del quale, ricevuta una domanda per responsabilità civile dei magistrati, il tribunale del distretto di corte d'appello, sentite le parti, doveva preliminarmente dichiarare l'ammissibilità o meno della domanda e solo dopo, eventualmente, disporre per la prosecuzione del processo.

Ad averlo abrogato è stata la legge n. 18/2015, per effetto della quale non si procede più al preventivo controllo dei presupposti, del rispetto dei termini e della valutazione della fondatezza dell'azione di risarcimento verso lo Stato.

La rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato

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A seguito dell'accertamento della responsabilità del magistrato, ed entro due anni (in luogo di un anno, come previsto dalla precedente normativa) dal risarcimento avvenuto sulla base di titolo giudiziale o stragiudiziale, lo Stato esercita obbligatoriamente l'azione di rivalsa nei confronti dello stesso nel caso di diniego di giustizia ovvero per violazione manifesta della legge o del diritto dell'Unione Europea nonchè per travisamento del fatto o delle prove quando determinati da dolo o negligenza inescusabile.

L'azione è promossa dal Presidente del Consiglio dei Ministri davanti al Tribunale del capoluogo del distretto della Corte d'appello, da determinarsi a norma dell'art. 11 del codice di procedura penale e dell'art. 1 delle relative norme di attuazione.

A quanto ammonta la rivalsa nei confronti del magistrato

Quanto alla misura della rivalsa, il comma 3 dell'art. 8 della legge Vassalli dispone che la stessa "non può superare una somma pari alla metà di una annualità dello stipendio, al netto delle trattenute fiscali, percepito dal magistrato al tempo in cui l'azione di risarcimento è proposta, anche se dal fatto è derivato danno a più persone e queste hanno agito con distinte azioni di responsabilità". Tale limite è escluso, tuttavia, se il fatto è stato commesso con dolo.

Analoghe disposizioni si applicano anche agli estranei che partecipano all'esercizio delle funzioni giudiziarie. Per costoro, la misura della rivalsa è calcolata in rapporto allo stipendio iniziale annuo, al netto delle trattenute fiscali, che compete al magistrato di tribunale, ovvero, se l'estraneo percepisce uno stipendio (o un reddito di lavoro autonomo) inferiore, è calcolata in rapporto allo stesso al tempo della proposizione dell'azione di risarcimento.

Responsabilità disciplinare del magistrato

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La legge Vassalli si occupa anche dell'azione disciplinare nei confronti del magistrato ritenuto responsabile dei fatti che hanno dato causa alla domanda di risarcimento.

In particolare, la disposizione di cui all'articolo 9 prevede oggi che il procuratore generale presso la Corte di cassazione per i magistrati ordinari e il titolare dell'azione disciplinare negli altri casi debbano attivarsi per l'esercizio di tale azione, salvo che la stessa non sia stata già proposta.

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Leggi anche: La responsabilità penale dei magistrati

Data: 8 luglio 2020

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Vedi anche: Responsabilità dei magistrati: riforma in vigore dal 19 marzo
Il disegno di legge di riforma della responsabilità civile dei magistrati: guida sintetica e testo

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