La Corte di Cassazione interviene nuovamente sul tema, scongiurando l'equiparazione dei professionisti agli imprenditori
di Giuseppe Grande - Gli Ermellini, con un'ulteriore pronuncia, sono ritornati nuovamente sul tema della presunzione tributaria in relazione al legame tra prelievi bancari e ricavi. Con la sentenza 20254/2018 si pone una battuta d'arresto, sulla reiterata abitudine dell'amministrazione finanziaria, di equiparare l'attività professionale a quella d'impresa. Nel farlo, si pone esplicito riferimento alla granitica sentenza 228/2014 della Corte Costituzionale, rendendo in tal modo il principio di diritto pacifico.

La vicenda

Nello svolgere il calcolo aritmetico dei ricavi del libero professionista, si è data rilevanza a tutte le movimentazioni bancarie, compresi i prelievi. Questa neutra azione meccanica, svolta in via presuntiva dall'amministrazione finanziaria, non ha voluto assolutamente prendere in considerazione l'identità del contribuente. Nel caso di questa specifica categoria reddituale (liberi professionisti) sussiste una profonda ed evidente differenza tra il concetto di deposito e quello di prelievo, che non necessariamente, ne tantomeno automaticamente, confluisce nella macroarea dei ricavi. L'autorità finanziaria nella propria attività di indagine ha applicato in linea presuntiva e del tutto sommaria l'articolo 32 D.P.R. n. 600/1973, comma 1, n. 2).

La decisione

Su tale punto, sottolineano i giudici del Palazzaccio, si è espressa, recentemente, la stessa Corte Costituzionale con la pronuncia n. 228/2014.

Tale sentenza, censurando la norma, provvede ad una disapplicazione della presunzione tributaria sottesa, nei confronti di categorie reddituali particolari come il lavoratore autonomo. Infatti, anche se di norma nel caso dei prelievi si applica il ragionamento secondo il quale un'uscita finanziaria ingiustificata abbia comportato costi non contabilizzati che, conseguentemente, abbiano dato origine a ricavi non fatturati, tale strategia di presunzione, al contrario di un imprenditore, non può assolutamente avere lo stesso livello di precisione nei riguardi di un lavoratore autonomo. La realtà civilistica e fiscale di un professionista presuppone la presenza di un'attività caratterizzata dalla preminenza del lavoro personale e dalla marginalità dell'apparato organizzativo.

Per cui, va considerato che nel reddito da lavoro autonomo, va creandosi "un'inevitabile promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali".

Dunque, in ordine a quanto dichiarato dalla Corte Costituzionale, e pacificamente ribadito dall'odierna Cassazione, l'applicazione della presunzione legale prevista dall'articolo 32 D.P.R. n. 600/1973, comma 1, n. 2), nel caso di liberi professionisti, sarebbe da considerarsi una palese lesione del principio di ragionevolezza, poiché risulta arbitrario presumere che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano rivolti ad un investimento nell'ambito della propria attività e che questo, a sua volta, sia produttivo di un reddito.


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