Quella del trasferimento arbitrale dei procedimenti civili pendenti è una delle strategie primarie del decreto giustizia (d.l. n. 132/2014) convertito in legge il 6 novembre scorso che, unitamente alle complementari istituzioni della negoziazione assistita, della possibilità di far cessare i matrimoni direttamente al Comune e delle nuove funzionalità del processo esecutivo, dovrà favorire lo smaltimento dell'arretrato, bloccare a monte l'affluenza di cause nei tribunali e semplificare una volta per tutte la giustizia civile italiana.
A dettarle è l'intero capo primo del decreto, che provvede a disciplinare materie, soggetti e termini, rinviando ad apposito regolamento, adottato dal Ministro della giustizia entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, sia i parametri relativi ai compensi agli arbitri che i criteri per l'assegnazione degli arbitrati, tra cui, in particolare le competenze professionali da possedere, nonché il principio della rotazione nell'assegnazione degli incarichi, con sistemi di designazione automatica.
Ex art. 1, comma 1, del d.l. n. 132/2014, le cause civili di primo e secondo grado pendenti (alla data di entrata in vigore del decreto, il 12 settembre scorso), possono su istanza congiunta di parte essere trasferite in sede arbitrale.
Non possono essere oggetto di procedimento arbitrale né le cause inerenti diritti indisponibili né quelle che riguardano materie di lavoro, previdenza e assistenza sociale, fuorchè vertenti su diritti che abbiano nel contratto collettivo di lavoro la propria fonte esclusiva, quando il contratto stesso preveda e disciplini la soluzione arbitrale.
Obbligatoriamente, quando una delle parti è la P.A. e l'altra (privata) formuli apposita istanza, passeranno al procedimento arbitrale anche le controversie di valore non superiore a 50.000 euro, in materia di responsabilità extracontrattuale o aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro. Il consenso della P.A., infatti, si intende in ogni caso prestato, salvo che la stessa non abbia espresso il proprio dissenso scritto entro 30 giorni dalla richiesta della controparte.
Gli arbitri sono individuati concordemente dalle parti, oppure dal presidente del Consiglio dell'ordine tra gli avvocati iscritti da almeno cinque anni (in luogo della formulazione originaria del testo che ne prevedeva tre), nell'albo dell'ordine circondariale, che non abbiano subito nell'ultimo quinquennio condanne definitive comportanti la sospensione dall'albo e che comunque, prima della trasmissione del fascicolo, abbiano dato, tramite dichiarazione, la propria disponibilità al Consiglio.
Non potranno essere designati arbitri i consiglieri dell'ordine, neanche se uscenti, almeno "per un'intera conciliatura successiva alla conclusione del loro mandato".
In presenza delle condizioni previste, salvo preclusioni e decadenze, il giudice deve disporre la trasmissione del fascicolo al presidente del Consiglio dell'Ordine del circondario in cui ha sede il tribunale o la corte d'appello.
Il presidente, a questo punto, dovrà nominare il collegio arbitrale, potendo, ove le parti decidano di comune accordo, limitarsi alla nomina di un arbitro unico esclusivamente per le controversie inferiori ad euro 100.000.
Una volta che l'arbitro o il collegio abbiano accettato la nomina, il procedimento proseguirà innanzi a loro e si concluderà con un lodo arbitrale, avente gli stessi effetti di una sentenza giudiziale.
Il comma 4 dell'art. 1 del d.l. n. 132/2014 fissa termini perentori per la conclusione del procedimento arbitrale, disponendo che laddove la trasmissione sia disposta in grado d'appello, la pronuncia del lodo deve avvenire entro 120 giorni dall'accettazione della nomina del collegio, altrimenti, il processo deve essere riassunto entro i successivi 60 giorni.
Gli arbitri, comunque, hanno facoltà, previo accordo tra le parti, di chiedere una proroga per il deposito del lodo di ulteriori trenta giorni.
Ove il processo venga riassunto, il lodo non potrà più essere pronunciato.
In caso di mancata riassunzione delle parti nel termine stabilito, il procedimento si estinguerà determinando il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, salvo che ne siano stati modificati gli effetti con provvedimenti pronunciati nel procedimento estinto, secondo il disposto dell'art. 338 c.p.c.
Qualora, invece, pur pronunciato, il lodo venga dichiarato nullo entro il termine di 120 giorni (e comunque entro la scadenza per la riassunzione), il processo dovrà essere riassunto entro 60 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di nullità.
Vedi anche:
» testo della riforma della giustizia (D.L. 132/2014)
» Raccolta articoli sulla riforma della giustizia