Se la moglie non ha redditi propri, perché ha rinunciato al lavoro per dedicarsi completamente alla famiglia e ai figli, ma successivamente ha ricevuto un'eredità l'assegno di divorzio può essere rivisto o anche revocato. Lo ha deciso la Corte di Cassazione, in camera di consiglio, con ordinanza n. 11797 del 27 maggio 2014, accogliendo il ricorso di un uomo condannato al pagamento di un assegno divorzile pari ad euro 1.100 mensili a favore dell'ex consorte e di un contributo pari a 600 euro mensili per i figli. 

Il ricorrente contestava la decisione del giudice di secondo grado che, respingendo ogni istanza dell'appellante, incentrava esclusivamente la propria motivazione sulla constatazione della cessazione dell'attività lavorativa svolta dall'ex moglie, laureata in medicina e chirurgia, all'inizio del matrimonio, determinata dal potersi dedicare esclusivamente alle cure domestiche, all'accudimento e all'educazione dei figli. L'uomo lamentava, in particolare, la mancanza di considerazione, da parte della corte distrettuale, al reddito dei due coniugi e al tenore di vita dagli stessi condotto in costanza di matrimonio, nonché al raffronto tra i redditi e i cespiti patrimoniali di entrambi omettendo di esaminare fatti decisivi quali l'adeguatezza dei mezzi propri dell'ex moglie, idonei a garantirle il mantenimento di un analogo tenore di vita anche dopo la cessazione del rapporto coniugale. Mezzi derivanti dalla modifica della situazione patrimoniale dell'ex, dovuta alla donazione effettuata dalla di lei madre ai figli della nuda proprietà

di alcuni immobili (in costanza di matrimonio) ed alla conseguente acquisizione della piena proprietà degli stessi per successione ereditaria alla morte della madre, che aveva procurato alla donna, grazie alla vendita di alcuni dei beni (dopo la separazione), un guadagno pari ad euro 960.000.

Rilevando uno scostamento dai criteri di valutazione prescritti dall'art. 5 della legge n. 898/1970 per l'accertamento e la quantificazione del diritto all'assegno divorzile, la Corte ha seguito il seguente ragionamento: se è vero che la donna aveva rinunciato alla carriera per la famiglia, è altrettanto vero che la cospicua eredità poteva consentirle, anche in mancanza di redditi lavorativi, un tenore di vita analogo (se non migliore) a quello vissuto durante il matrimonio. Del resto, ha ribadito la S.C., secondo i principi generali ex lege (art. 5 l. n. 898/1970) e la pacifica giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 11686/2013; n. 23508/2010), "l'accertamento del diritto all'assegno divorzile va effettuato verificando l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto". A questo fine, ha sottolineato il Supremo Collegio, "il tenore di vita precedente deve desumersi dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall'ammontare complessivo dei loro redditi e dalle loro disponibilità patrimoniali". Pertanto, sostenendo che "nella determinazione dell'assegno divorzile, i beni acquisiti per successione ereditaria dopo la separazione, ancorché non incidenti sulla valutazione del tenore di vita matrimoniale, perché intervenuta dopo la cessazione della convivenza, possono tuttavia essere presi in considerazione ai fini della valutazione della capacità economica del coniuge onerato", la Cassazione ha accolto il ricorso cassando la sentenza impugnata. 

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