Il vulnus dell'eccessivo costo del farmaco veterinario alla prova del decreto governativo che autorizza l'utilizzo in deroga dei medicinali per uso umano

Farmaci ad uso umano prescritti dai veterinari: una doverosa premessa

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Fino al 21 maggio 2021 il medico veterinario non poteva prescrivere farmaci ad uso umano che avessero lo stesso principio attivo di quello ad uso veterinario e un costo inferiore. Il rischio era di incorrere in sanzioni elevatissime. La sproporzionalità del costo in eccesso, rispetto a quello dei farmaci umani, è una vexata quaestio le cui ragioni sono così sintetizzabili.

Il "mercato" del farmaco veterinario è molto meno esteso in termini di volume di affari a parità se non con costi di studio, ricerca, sperimentazione e registrazione forse superiori a quelli impiegati per il farmaco umano. Lo stato, da parte sua, non può imporre alcuna calmierazione sul farmaco veterinario perchè, differentemente da quello umano, non ne sopporta il costo. Il medico veterinario, come aveva già ricordato Fnovi (Federazione Nazione Ordini Veterinari Italiani) nel 2017 è lasciato solo a difendere le ragioni proprie e dei suoi clienti. Una solitudine imposta dal legislatore che obbliga(va) il veterinario a prescrivere quel medicinale ad uso veterinario disponibile sul mercato impedendogli di ricorrere ad un medicinale umano ritenuto più efficace o più adatto in quel determinato caso salvo ricorrervi solo avendo osservato il principio del c.d. uso in deroga (o cascata) di cui all'articolo 10 del decreto legislativo n. 193/2006.

Le norme che autorizzano i medicinali per uso umano per animali

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La norma che ha originato il ritenuto epocale cambiamento di rotta è l'art. 10 bis del decreto legislativo n.193 /2006 come introdotta in occasione dell'ultima legge di bilancio. Il Ministro della Salute, si legge nella disposizione testè' richiamata, fermo restando il principio dell'uso prioritario dei medicinali veterinari per il trattamento delle affezioni delle specie animali e nel rispetto delle disposizioni dell'ordinamento dell'Unione europea

in materia di medicinali veterinari, tenuto conto, altresi', della natura delle affezioni e del costo delle relative cure, definirà i casi in cui il veterinario potrà prescrivere per la cura dell'animale, non destinato alla produzione di alimenti, un medicinale per uso umano, a condizione che lo stesso abbia il medesimo principio attivo rispetto al medicinale veterinario previsto per il trattamento dell'affezione. Non poche le reazioni e polemiche originate da questa disposizione ancora prima dell'emanazione del successivo e richiesto decreto di pubblicazione. A seguito della pubblicazione del Decreto Speranza il c.d uso in deroga del farmaco umano da eccezione si trasforma in regola poichè il veterinario potrà sempre sostituire al farmaco veterinario un farmaco ad uso umano avente lo stesso principio attivo ma un costo inferiore a quello ad uso veterinario. Accolto con entusiasmo dalla più parte delle associazioni animaliste che hanno potuto rivendicare un apprezzabile risparmio per le famiglie (e per le stesse istituzioni territoriali), il Decreto Speranza ha ricevuto non poche critiche dal mondo dei veterinari dichiaratisi peraltro mortificati dal fatto che la loro opinione sulla normativa introdotta non sarebbe stata richiesta.

Alcune necessarie riflessioni

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Considerare le obiezioni del mondo veterinario meramente pretestuose appare forse affrettato come parimenti inopportuno sarebbe liquidare la vicenda individuando nel (solo) minor costo il vero e unico discrimina tra una soluzione farmacologica piuttosto che un'altra. Le riflessioni che seguono tendono a capire se siano più le luci o le ombre che questa norma ha evidenziato, cercando di individuare i reali incagli della normativa sul farmaco ad uso veterinario e capire se il neonato decreto Speranza sia il provvedimento più idoneo a sciogliere quegli stessi incagli.

Noi umani siamo disposti a curarci con farmaci ad uso veterinario?

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Partendo da considerazioni non certo scientifiche ma ispirate solo a buon senso e ragionevolezza la prima domanda che va posta è se preso atto della sostituibilità del farmaco veterinario con quello umano, sia vero anche il contrario. Noi umani siamo disposti a curarci con farmaci ad uso veterinario? La domanda è tutt'altro che banale. Il decreto appena pubblicato non ritiene aprioristicamente che ciò che è efficace per l'uomo lo sia anche per l'animale. Lo si evince proprio da quell'Allegato A dove si indicano le condizioni necessarie per le quali il medico veterinario puo' (non deve) prescrivere il medicinale umano a parità di principio attivo. Tali necessarie condizioni sono: la prevedibilità di rischi o controindicazioni conseguenti all'uso del medicinale veterinario a causa delle particolari condizioni di salute dell'animale ovvero della sensibilita' nota ad un particolare principio attivo; la persistenza nell'animale della patologia per la quale e' stato somministrato il medicinale veterinario (valutandosi che non esiste un trattamento autorizzato in veterinaria di efficacia terapeutica ritenuta superiore); il sospetto che un medicinale veterinario risulti inutile o addirittura possa fare peggiorare la malattia; il necessario utilizzo di un protocollo terapeutico che prevede l'associazione di piu' principi attivi, alcuni dei quali autorizzati esclusivamente per uso umano; la presenza nel medicinale veterinario di ingredienti nocivi ad una data specie animale oppure all'animale in cura per sensibilità nota al medesimo; una accertata assenza di medicinali veterinari contenenti sostanze antibiotiche efficaci nei confronti del batterio responsabile dell'infezione.

Farmaco umano e farmaco veterinario sono la stessa cosa?

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Emergono due banali considerazioni alla luce di quanto premesso. La prima è che un farmaco prodotto e pensato per un essere umano potrebbe essere altra cosa rispetto ad un farmaco pensato, studiato e sperimentato per gli animali. Il medicinale veterinario non deriva dal medicinale per uso umano, ma possiede una sua identità in funzione delle specie animali cui sarà destinato. La seconda considerazione, questa si dirimente, è che attore unico e assoluto protagonista nel decidere quale approccio terapeutico utilizzare è - e rimane- il medico veterinario.

Il contesto europeo

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Volgendo lo sguardo all'Europa il Decreto che avrebbe sdoganato il farmaco umano per la cura degli animali non da reddito si pone in conflitto con il nuovo Regolamento Europeo (Reg UE 2019/6) -entrato in vigore il 27 gennaio 2019 e che dovrà essere applicato dal 28 gennaio 2022. Data questa che dovrebbe determinare l'abrogazione della normativa nazionale. E' bene ricordare -particolare non irrilevante- che il Regolamento Europeo ha confermato il regime dell'uso in deroga del farmaco umano. E' dunque interessante capire come verrà risolta questa curiosa aporia.

Possibili alternative

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Tralasciando ogni valutazione di natura scientifica (rivendicate da Anmvi, Fnovi, S.I.Ve.M.P.) e rimanendo invece in un terreno normativo non si vuole nega il risparmio che inevitabilmente potrebbe derivare dalla prescrizione un farmaco ad uso umano in luogo di uno veterinario. Si rimane perplessi, per le ragioni sopra esposte, di come sposa ritenere (e soprattutto fare ritenere) che l'unica vera soluzione al vulnus del costo del farmaco veterinario sia la prescrizione sempre e comunque di quello umano. Peraltro dimenticando che già una circolare del Ministero della Salute (circolare n. 5727 del 29/03/2011) aveva già evidenziato i casi in cui il veterinario poteva ragionevolmente concludere per la non esistenza del farmaco adatto alla terapia da attuare così da accedere all'uso in deroga. E che sempre il Ministero della Salute qualche anno fa aveva affermato che ogni principio attivo deve essere studiato sulla specie animale a cui è destinato, con indicazioni e posologie accuratamente sperimentate per ognuna di esse, tenuto conto dei diversi metabolismi e di conseguenza della differente farmacodinamica e farmacocinetica.

Lo Stato se da una parte non ha alcuna intenzione di farsi carico di alcuna spesa veterinaria (e farmaceutica) potrebbe sempre aumentare in modo percettibile la detrazione fiscale su tali esborsi come anche ridurre se non eliminare aliquote gravose sulle prestazioni medico veterinarie (comprese sterilizzazione e microcippatura). Potrebbe, ma è solo un presuntuoso suggerimento, eliminare o ridurre il costo di registrazione dei farmaci veetrinari. Incentivare una cultura assicurativa, che in parte potrebbe sostituire il servizio sanitario nazionale. Ugualmente incentivare l'utilizzo del farmaco generico veterinario rendendolo individuabile per principio attivo e non, come avviene adesso, per nome di fantasia. Intervenire per ottenere la riduzione dei prezzi dei farmaci veterinari salva vita e di quelli per le terapie di lunga durata. Bandire lo spreco del farmaco ad uso veterinario secondo il principio per cui se ne usa quanto serve e quando serve, come già avviene in buona parte nel resto dell'Europa.

Considerazioni finali

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E' stata politicamente scelta la promessa di potere utilizzare farmaci meno costosi ignorando proprio il "prezzo" di questa auspicata riduzione di costi in termini di altri costi già spesi dallo Stato per tutelare negli anni la salute pubblica, combattere la antibiotico-resistenza e fare farmacosorveglianza.

Mortificando una intera categoria, quella dei veterinari, che oggi possono vantare in Italia il maggiore numero di scuole di specializzazione e università e una strumentazione diagnostica pari a quella umana (e altrettanto costosa). Con un ulteriore e pericoloso forse non calcolato rischio che è quello di incentivare la pratica dell'automedicazione, già diffusa.

Non si tratta di vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Si tratta di capire, e bene, cosa si stia bevendo.


Avv. Filippo Portoghese
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