A meno di un mese dall'entrata in vigore della riforma della class action mancano ancora i decreti attuativi. E la terza fase suscita più di una perplessità

Il potenziamento della class action

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La riforma della class action dovrebbe entrare in vigore dal 19 novembre 2020, a mancano ancora i decreti attuativi. Ricordiamo che per class action intendiamo un'azione legale collettiva condotta da uno (o più) utenti nei confronti del medesimo soggetto per tutelare i diritti vantati da più consumatori (vedi la guida Class action). La volontà del legislatore di un cambiamento è andata verso il potenziamento dell'istituto. Il suo campo di applicazione, in particolare, è stato allargato sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo, ovvero sia per quanto riguarda i soggetti che possono accedervi, sia per le situazioni giuridiche che possono essere fatte valere in giudizio. In sintesi, la class action consentirà di agire a tutela delle situazioni soggettive maturate a fronte di condotte lesive, per l'accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni. Nel periodo transitorio continueranno a trovare applicazione le regole previste dal Codice del Consumo (art. 140-bis).

Legittimati alla class action

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Sono legittimati a proporre l'azione di classe: ciascun componente della classe; le organizzazioni o associazioni senza scopo di lucro (iscritte in un elenco pubblico istituito presso il Ministero della giustizia). i cui obiettivi statutari comprendano la tutela dei predetti diritti. Come ricordato, la riforma ha esteso la legittimazione attiva a proporre l'azione, facendo venir meno la riserva dello strumento della class action ai soli consumatori o alle associazioni a cui questi avevano dato mandato o a cui i consumatori partecipavano.

mancano ancora tutti i decreti di attuazione della legge 31/2019, a partire dal più importante: quello che stabilisce i requisiti per l'iscrizione all'elenco delle organizzazioni e delle associazioni abitate a promuovere le azioni di classe che doveva arrivare addirittura un anno fa.

Class action, la situazione attuale

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La riforma voluta dal M5S è stata approvata a larghissima maggioranza a marzo 2019. Essa prevedeva tre decreti attuativi, di competenza del ministero della Giustizia, e un portale dei servizi telematici del ministero necessaria per lo svolgimento delle attività processuali. Da qui lo spostamento dell'entrata in vigore di 12 mesi, che sono diventati 19. Come riporta il Sole 24 Ore, il ministero della Giustizia garantisce che tra qualche giorno partirà il collaudo. Ma non è tutto perché, come evidenziato, dei decreti attuativi nemmeno l'ombra: manca quello con il modello della domanda di adesione e l'altro sui compensi dei difensori. Ancora più grave la mancanza del decreto sull'elenco delle organizzazioni che possono promuovere le future class action, che fra l'altro prevede anche un passaggio nelle Commissioni parlamentari. E se da un lato la nuova normativa ha allargato il campo di applicazione della class action, dall'altro non è cambiato nulla circa i filtri di ammissibilità, fra cui quello dell'omogeneità dei diritti individuali. Insomma un freno amano tirato per la proposizione di molte azioni.

Le perplessità della terza fase

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Altre perplessità le suscita terza fase della "nuova" class action, quella che si apre con la sentenza di condanna. Con la pronuncia viene acclarata la responsabilità ma non si chiude il procedimento poiché la riforma dà la possibilità di aderire alla class action anche dopo la condanna. Un nodo contestato dalle imprese poiché impedirebbe di avere contezza della classe e dell'entità dei risarcimenti. Si aggiunga che la sentenza di condanna apre un lungo e complicato percorso che ricorda quello fallimentare, dove è attore principale il rappresentante unico degli aderenti (che deve avere i requisiti del curatore fallimentare) e poi c'è il giudice delegato, che deciderà gli importi delle liquidazioni. Il rappresentante degli aderenti dovrà predisporre il progetto dei diritti individuali in cui, dopo aver valutato le domande di adesione (e relative prove) e le memorie difensive del condannato, prende posizione su ogni richiesta. Tempi strettissimi: il "resistente" ha solo 120 giorni per contestare le richieste degli aderenti (e quelle cui non risponde si reputano ammesse), il rappresentante ha 90 giorni per presentare il progetto dei diritti individuali e 60 per apportare variazioni. Ma soprattutto non si capisce cosa potrebbe accadere nell'ipotesi, affatto improbabile, in cui le scadenze non siano rispettate.


Foto: 123rf.com
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